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Maddalena zero in condotta

Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film

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La recensione su Maddalena zero in condotta

di cherubino
7 stelle

 

MADDALENA ZERO IN CONDOTTA (1940)

 

"Differenziare gli investimenti" in genere è un buon consiglio. Disponendo per esempio di 142 minuti di tempo, si potrebbe investirli "al meglio" vedendo prima "Maddalena", di Augusto Genina (1953, con Gino Cervi, la splendida Marta Toren, Charles Vanel,  Jacques Sernas, 101 minuti, voto di Film Tv 8,3) e poi chiudere in bellezza con "Zero in condotta", di Jean Vigo (1933, con attori francesi dai nomi a me sconosciuti, 41 minuti, voto 8,4).

 

Ma può capitare di voler passare un tempo più breve (soli 78 minuti) con leggerezza: in questo caso può non essere sbagliato fare un unico investimento di queste stesse quattro parole: "Maddalena... zero in condotta" di Vittorio De Sica (1940, voto 6,2).

 

Non sarà stato tempo sprecato banalmente, giacchè si sarà visto all'opera per la prima volta da solo dietro la macchina da presa questo regista che non tanti anni dopo (ma con una guerra di mezzo) si dimostrerà capace di firmare l'uno di seguito all'altro quattro veri capolavori: Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), Miracolo a Milano (1951), Umberto D (1952).

 

Impossibile immaginarlo da un film così lieve.  

Qui il soggetto è preso dal teatro, una tipica commedia degli equivoci, ungherese,  che resta tale anche nella sua traduzione sullo schermo, non facendosi alcun passo avanti da quel cinema dei telefoni bianchi che allora andava per la maggiore nel nostro paese. 

E che - almeno stando a quel che era loro consentito di scrivere - soddisfaceva i critici, i quali accettarono senza riserve il graduale passaggio di De Sica da divo dello schermo a regista proprio perchè non lasciava sospettare di poter andare oltre i limiti angusti di quel nostro cinema autarchico, fatto per distrarre dai veri problemi " in un immaginario paese di case novecento, di milionari, di maggiordomi...." (Piovene, 1942).

 

Questo primo film interamente suo fu accolto molto bene ma non certo perchè vi si notasse alcunchè di trasgressivo o imprevedibile o almeno innovativo: "...ha diretto con molta delicatezza, disegnando attorno ai vari tipi motivi di caricature e di sentimentalismo, con garbo e con scioltezza...; non c'è un momento in cui il film si affanni a cercare il ritmo, scivola via, anche per merito della sceneggiatura, con sicurezza di narrazione" (Sarazani); "E' il definitivo diploma di regista... Mano pronta e felice tempismo intelligente, naturalezza narrativa. Ma soprattutto convincono la grazia, la leggerezza, l'affiatamento con cui ha saputo far muovere e parlare lo stuolo di giovani interpreti" (Sacchi).

Ecco, forse dall'ultima frase si potrebbe dire che era stata intravvista una delle capacità peculiari del De Sica "grande" di alcuni anni dopo.

 

"Stuolo di giovani interpreti" formato solo di belle ragazze, compagne di classe in un istituto tecnico, esclusivamente femminile, ad indirizzo commerciale. A quei tempi, sicuramente un corso di studi cui accedevano ragazze provenienti prevalentemente da famiglie agiate: era allora infrequente per la grande maggioranza andare oltre la scuola elementare.

Nel film traspare infatti, dallo loro disinvoltura e indisciplina - irrealistiche - la scarsa preoccupazione circa un prossimo futuro lavorativo.

Due tra loro i personaggi che emergono.

La "antipatica" (ma mica tanto!) contessina Eva che, come privatista, ha la pretesa di entrare e uscire dalla classe a suo piacimento, interpretata da Irasema Dilian, sedicenne all'epoca del film (attrice che non conoscevo e che ebbe un successo clamoroso in questo suo ruolo tutto sommato secondario, tale da farla divenire "la privatista" per eccellenza nel cinema degli anni '40 di cui divenne uno dei volti più popolari, come si intuisce dalla locandina che vi presento: il suo nome è al primo posto!). 

 

 

E naturalmente la vispa, impertinente, tutt'altro che dedita allo studio, romantica ma intraprendente e determinata Maddalena Lenci. È interpretata da Carla Del Poggio che, notata da De Sica al Centro Sperimentale di Cinematografia, inizia questo suo film dell'esordio non ancora quindicenne e dà subito buona prova delle sue doti.

 

 

Con loro, tante altre belle giovinette che rendono animata - forse eccessivamente: non vedevo l'ora che entrasse in scena De Sica... - la loro indisciplinata classe, mettendo a rischio addirittura il posto di lavoro della professoressa Elisa Malgari.

 

 

Ruolo essenziale anche questo, affidato alla attrice tedesca Vera Bergman, anch'essa esordiente nel cinema italiano dopo aver girato un film in patria nell'anno precedente (rimase qui da noi, partecipando in tutto a 17 film, fino al 1954): personalmente, trovo la sua interpretazione forse la più interessante, misurata e permeata, nella inverosimiglianza complessiva della storia, di un suo fascino.

 

 

Brava, credo di poter dire: fors'anche  per merito del regista, che l'aveva scelta per quella parte benchè solo ventenne. La sua "professoressa" (probabilmente supplente) è una dolce più che trentenne  sognatrice senza particolari speranze. Sarà quando, messa alle strette dal comportamento delle studentesse, dirà loro "voi non sapete cosa vuol dire perdere un posto di lavoro" che se le troverà immediatamente tutte dalla sua parte.

E poi (ma non solo lei...) sarà baciata dalla fortuna (e dall'amore), con l'aiuto di due di esse  (e soprattutto del commediografo, naturalmente). Per chi volesse sapere qualcosa di più esplicito sulla trama, consiglio Wikipedia: non contiene imprecisioni. Ma credo sia meglio vedere il film senza prima approfondire.

 

Che giudizio darne? Non tenendo conto di motivazioni dettate dalla nostalgia o da altre componenti non obiettive, penso che ci si potrebbe, forse dovrebbe, fermare alle tre stelle (ampia sufficienza). Non posso che aggiungere mezza stella sia per evitare che si possa pensare di me che tengo a passare per obiettivo sia, soprattutto, per il piacere che mi dà il vedere, dalle recensioni altrui, che ben 5 su 9 giudicano il film "nettamente positivo" (4 stelle") e che anche le altre stanno nell'area della positività (tutte, per come leggo io i voti dei due autori che si fermano a 3 e a 2). 

 

Contribuirà, penso, a giustificare questo mio voto favorevole anche il doveroso ricordo degli altri artefici del film.

 

 

 

Roberto Villa è il cugino (Stefano Armani) di Alfredo Hartman (Vittorio De Sica). Di qualche anno più giovane di lui, era già, all'epoca di questo film, un attore di notevole successo che continuò per qualche anno (una trentina di film fra il 1940 e il 1948); poi, prevalentemente teatro e doppiaggio.

Guglielmo Bernabò è Emilio Lenci, padre di Maddalena. Ottimo caratteristica che aveva esordito nel cinema muto e poi, col sonoro, partecipò, in una ventina d'anni, ad oltre un centinaio di pellicole. Qui dà vita ad un personaggio fra i più simpatici del film.

Giuseppe Varni è il bidello Amilcare Bondani. Di origini polacche, dopo anni di teatro esordisce al cinema proprio nell'anno 1940, in cui prima di questo film è già comparso in altre tre pellicole dirette dal cognato Carmine Gallone: è con lui che girerà altri 15   film - quasi tutti quelli cui prese parte - compreso l'ultimo, di 15 anni dopo ("Don camillo e l'onorevole Peppone"). Anche questo è un personaggio gradevole, curiosamente doppiato dal grande Aldo Fabrizi. 

Arturo Bragaglia infine. É il fratello minore del regista Carlo Ludovico. Caratterista apprezzatissimo, i suoi personaggi sono spesso comici. Quasi 80 film, tra il 1939 e il 1961. Da ricordare, ancora con De Sica, la sua partecipazione, nel 1951, a "Miracolo a Milano". Divertente anche questo Sila, il professore di ginnastica, cagionevole di salute e colpito da tanti acciacchi. C'è chi vi ha visto dell'ironia verso questo aspetto, se non altro, della scuola italica di quel tempo.

 

Non sono i soli affidabili attori di cui De Sica si è circondato in questo suo film (oltre agli esordienti o quasi già ricordati). Di altri si potrebbe parlare. Ma i quattro che ho citato sono quelli che mi sono rimasti più impressi. 

E compaiono nei fotogrammi presentati, oltre naturalmente a Vittorio De Sica che, trentanovenne, continua a interpretare il fascinoso cui il pubblico, soprattutto femminile, è abituato sin dal 1932: "Gli uomini , che mascalzoni!" ne aveva fatto un divo cinematografico, reso oggetto d'amore anche da "Parlami d'amore Mariù", cantata da lui medesimo in quel film. Ma siamo agli sgoccioli, di lì a poco Vittorio attore costringerà le sue fans a rinunciare a quel mito di "irresistibile" ormai fuori tempo.

È del 1942, meno di due anni dopo, il film "Se io fossi onesto", in cui De Sica è diretto da Carlo Ludovico Bragaglia e di lui Diego Calcagno scriverà: "...avanza con disinvoltura e garbo verso altre età. Egli rinuncia ai cinque o sei anni nei quali avrebbe ancora potuto darla ad intendere... De Sica timido e miope.. ecco la novità di questo film". Film credo ben poco noto (lo recensii agli inizi) di cui, se vi capita, consiglio caldamente la visione.

La maturazione sta per compiersi anche come attore, dunque, mentre prende forse il sopravvento il desiderio "anche" (non sarà mai "solo") di dirigere. 

 

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la recensione precedente (RANCHO NOTORIUS, 1952) del 15.3.16

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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