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Piccione morto in Beethoven Strasse

Regia di Samuel Fuller vedi scheda film

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vincenzo carboni

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Piccione morto in Beethoven Strasse

di vincenzo carboni
8 stelle

È da un ieri che cerco di completare la visione di questo film. Non mi convince, mi irrita, eppure… Se si trattasse invece di un problema estetico? Se si trattasse più precisamente di un problema etico-estetico, in cui l’incapacità è eticamente nel mio occhio? Fuller merita sempre quantomeno l’onore della noia, la mia, l’attimo cioè prima di una inaspettata quanto sommessa sorpresa. Mi impongo di vederlo, ma non si tratta solo di stupida volontà di finire ciò che si è cominciato. È come se un magnete ingoiasse un mio desiderio rovesciato, come un buco nero che –per orbite successive- mi facesse cadere dentro il suo nulla. Aspetto quei dieci minuti sublimi di luccicanza dell’esistenza, il Fuller touch, quando per un attimo si mostra a noi il nostro stesso volto come davanti ad uno specchio deformante. Accanto alla posa da ritratto di villeggiatura, emerge come in sogno la propria parte peggiore, così come avviene per la bella truffatrice. «Mi sono guardata e ho visto una puttana» dice Christa. Sandy come ogni agente infiltrato sperimenterà la malattia che deriva da una vicinanza, da una prossimità solo all’apparenza innocua, prima che il contagio di “quei cerchi sotto gli occhi” facciano il resto. «Sono borse» risponde Christa, digrignando lo sguardo disilluso. Ecco il “piccolo oggetto a”, il dettaglio innocente e maledetto, quello che ti fa perdere la testa o rendere insopportabile la vista di una donna. Questa prossimità dello sguardo –se reiterata per quanto conservata come in una ghiacciaia dall’espediente dell’inganno (Christa non sa che Sandy è un investigatore)- è una corruzione del proprio scafandro morale, della lealtà al proprio lavoro, alla propria donna, alla propria patria: è una lenta agonia morale. Ecco che la prossimità scava una più profonda lealtà a quei piccoli cerchi sotto a due occhi incantevoli. Questo incanto –reciproco ma rovesciato in un disperato desiderio di autenticità del proprio sentire- è l’inganno più reale. Finchè si è truffatori si è attori, come un diplomatico (gli oggetti delle truffe di Christa) in un certo senso è un professionista della blandizia, ma ora si prova a recitare il personaggio che saremmo se solo provassimo a credere, a possedere la fede nella nostra parte migliore, a credere di poterci servire delle parole per dire fermissimamente la verità senza essere piuttosto usati da queste; come se provassimo veramente una emozione autentica, senza la consolazione di esserne felici perché sapremmo comunque che sempre di inganno si tratta! Andarne fino in fondo significherebbe solo desiderare di cambiare ruolo nella scena del mondo in modo da non ingannare più l’altro ma sé stessi. Ecco Fuller! L’attesa è finita per quei pochi minuti di terribile visione grazie alla quale non abbiamo più scampo. «Sono venuto in Germania per un negativo e ora corro dietro ad una donna…» esclama Sandy ad un tavolo di un bar, davanti agli occhi curiosi di una bambina. Ecco una confessione che si può fare a sé stessi, o ad una bambina (Petra Falvini) che quando porgerà il fiammifero per accendere la sigaretta a Sandy, questo soffierà sulla fiamma con l’intensità giusta perché il proprio alito raggiunga i capelli di Petra fino a scuoterli delicatamente: da una parte una accensione di disperata verità (la fiamma), dall’altra come un tocco-soffio morale che per la bimba sarà come una deflorazione discreta. Ascoltare una confessione così smarrita –quella di Sandy che si arrende alla seduzione di un sentimento- è sempre una deflorazione. Il tocco con la mano di Sandy al momento di salutarsi contro quella piccola di Petra può avvenire solo attraverso un cristallo, uno schermo, una protezione contro il virus della corruzione. Ma non resta che arrendersi ad una verità, la sola che rimane attaccata addosso come carta moschicida: un investigatore privato è una puttana, come Christa è una “bitch”, una che non aspetta mai che un uomo le apra la porta prima di uscire; può succedere di andare a centoventi all’ora! Un investigatore spia amanti nelle stanze d’albergo, è pagato per uno sguardo sporco, tanto che quegli occhi non potranno mai vedere accanto a sé una donna che non sia una puttana. Ma per tutti e due –Christa e Sandy- ora viene l’illusione che lo sguardo dell’altro possa purificare, vedere attraverso i vestiti, attraverso la pelle l’autenticità di un IO che ciascuno dei soggetti coinvolti non è in grado di percepire. E così… «I am Sorry, Sandy». E lui di rimando prima dello sparo: «So mine».

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