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La famiglia Savage

Regia di Tamara Jenkins vedi scheda film

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La recensione su La famiglia Savage

di mc 5
8 stelle

La via crucis che i due fratelli protagonisti del film si trovano ad affrontare è una situazione che, personalmente, percepisco come vagamente famigliare, dato che ho vissuto sulla mia pelle qualcosa di analogo. La vicenda narrata è quella di un fratello e una sorella che devono in qualche modo "gestire" l'anziano padre affetto da demenza senile ed ormai prossimo alla morte. Dicevo che "ci sono passato anch'io", in quanto mio padre, scomparso da poche settimane, mi aveva messo improvvisamente di fronte alle stesse urgenze evocate in questo film. Cioè anch'io mi sono trovato a fronteggiare i problemi legati ad una persona anziana con problemi di demenza senile e con la morte dietro l'angolo secondo le segnalazioni dei medici. Il caso vuole che proprio nello stesso weekend sia uscita anche un'altra pellicola che parla di anziani in fase terminale di malattia incurabile: "Non è mai troppo tardi" con le due superstar Nicholson e Freeman. Ecco, quest'ultimo film proprio non ce l'ho fatta a vederlo: per me che ho avuto un padre che ha lottato fino all'ultimo contro un maledetto tumore era davvero troppo vedere una situazione analoga messa in burletta. Sì, perchè penso che le performances avventuroso-goderecce di Nicholson & Freeman suonino un pò come uno schiaffo a chi è davvero malato terminale di tumore ed ha ben altri pensieri che quelli evocati nel film. Discorso diversissimo per questo delizioso film diretto da Tamara Jenkins che invece affronta il problema con tocco lieve e delicato, per nulla "spettacolare", usando sapientemente l'arma dell'ironia e del paradosso, e confezionando un prodotto godibile e fortemente caratterizzato da un piacevole retrogusto amarognolo. Non è affatto facile affrontare problemi tabu' come la malattia e il decadimento del corpo e della mente, senza scadere automaticamente
nel patetico-ricattatorio. Eppure la Jenkins supera con estrema brillantezza questo ostacolo, senza per questo evitare di narrare il dramma di una famiglia colpita dalla malattia e dai problemi che ne derivano, ma unendo a ciò un senso di speranza, di serenità e dignità, che riescono a mitigare il significato del dolore. Il problema di questo anziano, le cui condizioni fisiche e mentali si aggravano irreversibilmente, mette i due figli di fronte ad una realtà ineludibile e li costringe ad una sorta di verifica; cioè Philip Seymour Hoffman e Laura Linney (bravi da morire!!) vengono costretti ad interrogarsi non solo sulle cure dovute all'anziano genitore ma anche sul senso delle loro rispettive esistenze...e lì sono dolori, perchè il bilancio delle loro due vite non è proprio rose e fiori...I due, messi di fronte ad eventi che esigono maturità e consapevolezza, si scoprono inadeguati ed immaturi. E questa prova servirà a forgiarli mettendoli di fronte a delle scelte. Ne so qualcosa anch'io (come dicevo all'inizio) che dopo la recente scomparsa di mio padre mi trovo ancora ad annaspare e a lottare contro prospettive che mi appaiono come ribaltate. La chiave sapiente scelta dalla regista riesce a farci sorridere anche di una situazione dai risvolti drammatici. Sorridere, pensare, e riflettere. E poi questi due figli sono due gran bei personaggi, cui la sceneggiatura (firmata dalla stessa Jenkins) attribuisce caratteristiche di ordinaria infelicità, e che si cibano anche di piccole meschinità. In particolare, i due sono accomunati sia sul piano professionale (entrambi non hanno le soddisfazioni che vorrebbero dal loro lavoro e le rispettive carriere paiono non decollare mai) sia sul piano sentimentale (lui ha una relazione molto incerta con una ragazza dell'Est, mentre lei si trova a gestire un frustrante rapporto con un uomo sposato al quale non riesce a rinunciare pur ritenendolo squallido). E poi c'è lui, questo padre ingombrante, questa presenza di cui i figli, tutti presi dai loro miseri battibecchi e falsi problemi, a volte finiscono quasi per dimenticarsi: a questo proposito c'è una scena bellissima che si svolge all'interno di un'auto, coi due figli che prendono ad insultarsi e a rinfacciarsi di tutto, col padre silenzioso ed ignorato dai due, con un primo piano che stringe sul volto sgomento di lui...L'aspetto negativo principale della vicenda, ma reso magistralmente nella messa in scena, è questo RISTAGNARE dei due protagonisti nelle rispettive solitudini che, una volta cristallizzato il malessere, finiscono col diventare dei gusci in cui rinchiudersi a doppia mandata con la chiave del proprio egocentrismo. Ma poi, alla fine, gli eventi negativi sopraggiunti serviranno in fondo a rendere piu' consapevoli e a fortificare i due personaggi. Seymour Hoffman e la Linney sono di una bravura che lascia basiti, soprattutto lei che per questa prova è anche candidata all'Oscar. A proposito di premi e rassegne, il film è stato acclamato al Sundance e al festival di Toronto. Se dovessi segnalare il merito principale del film, non avrei dubbi: la scelta della regista di non ricattare mai il pubblico con le lacrime facili, e dato il tema è già un piccolo miracolo. O meglio: le lacrime arrivano (io sto parlando per me, è chiaro) ma arrivano spontanee e sincere, senza meccanismi ad orologeria.

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