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I Viceré

Regia di Roberto Faenza vedi scheda film

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La recensione su I Viceré

di FilmTv Rivista
4 stelle

Secondo lo scrittore italiano Vincenzo Consolo, la storia della letteratura italiana è intessuta di parricidi. Con I Viceré (1894) Federico De Roberto uccise il padre nel Manzoni di I promessi sposi (1840) e con Il Gattopardo (1958) ne fu ucciso da Tomasi di Lampedusa. A modo suo anche il torinese Faenza commette un parricidio verso il milanese Visconti di Il Gattopardo (1963) con questo suo 15° film, liberamente tratto dalla "machine poderosa" (650 pagine) di De Roberto. L'avverbio è giustificato, soprattutto nell'avvio quando Consalvo e Teresa Uzeda, discendenti dei Viceré di Spagna, sono bambini: il regista ne fa un fulmineo racconto di deformazione che in De Roberto non c'è. È fedele, però, nello spirito a un romanzo definito «l'impietosa autobiografia di una nazione». Ne è uscito uno dei film più laici - e anticlericali - di tutta la storia del cinema italiano. Alle ampie cadenze e alla pietà per un passato irripetibile di Visconti si oppone in Faenza un ritmo narrativo incalzante che talora inevitabilmente scivola nello sbrigativo spicciare di un teleromanzo. In Tomasi di Lampedusa/Visconti l'aristocrazia è ancora un bastione contro il degrado dell'Italia unita. In De Roberto/Faenza - con un'azione che va dal 1853 ai primi anni 70 - il ritratto dei principi Uzeda è impietoso, sfiora la ferocia. Faenza e i suoi tre cosceneggiatori non hanno faticato a sottolineare l'attualità etico-politica del romanzo. Per esigenze di spazio hanno concentrato la narrazione su una famiglia in cui, come nello Stato e nella Chiesa, vige la lotta per il potere, la sopraffazione, l'imperio. Sia pure di scorcio - a livello antropologico e anche metaforico, ma non priva di un sarcasmo divertito - ne è uscita una lugubre galleria di "freaks": impersonano quei vizi nazionali di cui nel 2000 continuiamo a lamentarci, a deprecare. Sostenuto da una squadra di collaboratori di prim'ordine (fotografia: Maurizio Calvesi; scene: Francesco Frigeri; costumi: Milena Canonero; montaggio: Massimo Fiocchi), Faenza ha diretto con cura intelligente gli interpreti principali tra i quali dobbiamo citare almeno la prova superba del palermitano Buzzanca/principe Giacomo. Altri due meriti: la scelta delle facce di contorno e il delicato disegno di figure umili e positive: il Fra' Carmelo di Vito e il maggiordomo Baldassarre di Biagio Pelligra che chiude il film. L'Italia di oggi è quella che è, alcune delle sue radici sono là, nella Sicilia di De Roberto.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 46 del 2007

Autore: Morando Morandini

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