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Hairspray - Grasso è bello

Regia di Adam Shankman vedi scheda film

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La recensione su Hairspray - Grasso è bello

di LorCio
7 stelle

Hairspray o la rivincita dell’imperfezione. La riscossa dolce e dirompente delle anticonvenzionali sulla banalità che ha preso le vesti della normalità. Il lardo, la spensieratezza, il buon vivere che destituiscono alla magrezza-mezza-bellezza, all’arrivismo, al cinismo la corona di reginetta della festa. Il beneplacito di John Waters non inganni: Hairspray (“lacca”) è tutt’altra cosa rispetto Grasso e bello. E ciò non vuol dire sia male. Sempre meglio riadattare e scompigliare la carte in tavola piuttosto che realizzare nuovamente paro paro un cult – specie se un cult del “re degli schifosi”. L’irriverenza è confinata ad un angolino, mentre la critica sociale è ancora ben evidente, forse addirittura maggiormente accentuata (la discriminazione è il tema centrale del film, sia quella dei neri d’America – siamo negli anni sessanta, mica bazzecole – che dei “ciccioni” che del ceto medio-basso). E il motivo è deducibile: essendoci di mezzo Hollywood (e prima ancora Broadway), chi è in scena (ma anche, e soprattutto, chi sta dietro le quinte) sa benissimo dove colpire ed affondare, quali siano i punti deboli di una società basata sull’immagine e sull’apparenza.

 

Scelta emblematica, di conseguenza, è quella di John Travolta, icona di bellezza e di sessapiglio nella leggenda per La febbre del sabato sera e Grease (battuta: dalla “brillantina” alla “lacca per capelli” il passo è breve), nei panni della grassa ed impacciata Edna, quasi a testimoniare una sorta di attacco all’immaginario per permettere ai difetti di manifestarsi palesemente – ma sull’interpretazione di Travolta è meglio tornare più tardi. Nelle cifre effettive, alla fine la versione musicarella e a tratti persino puerile di Hairspray è fastosa ed allegra, i toni sono quelli dei musical di un livello ben più alto rispetto alle cavolate che ci propinano oggi e ci spacciano per musical (si legga alla voce High Scool Musical, il cui pubblico, paradossalmente, è lo stesso di Hairspray – complice anche la presenza di Zac Efron) grazie a due peculiarità fondamentali: il ritmo, perfetto (l’oretta e cinquanta fila che è una bellezza), e lo stile, scanzonato eppure non privo di una sua classe.

 

Certo, se volessimo andare a scavare, il significato dall’originale al moderno è maneggiato. Ma forse c’è un equivoco: vuole essere qualcos’altro rispetto al film di Waters. E nella sua specificità, è pressoché senza macchie, limpido, lineare, fluido, scorrevole. Allietato dai colori spumeggianti di un’America a metà tra beffarda iconografia burtoniana e echi vagamente fossiani, fotoromanzo brillante e commedia gustosa, può contare su canzoncine non indimenticabili ma squisite e su un cast intonatissimo, in cui spiccano la tremenda ed ambiziosa Michelle Pfeiffer, il delizioso ed amabile Christopher Walken, la trascinante Queen Latifah. Esplode, invece, il già citato Travolta nei panni di una grassona materna ed irresistibile, grandiosamente femminile e per nulla caricaturale o grottesca, ironicamente geniale. Due momenti da ricordare: il restyling a cui si sottopone assieme alla figlia (la brava Nikky Blonsky) e quindi il conseguente ballo in mezzo alla strada (però, non ha perso il vizio di ballare il buon John: è ancora bravissimo); le dolci schermaglie amorose tra lui/lei e Walken tra i panni stesi: adorabile.

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