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Il grande capo

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il grande capo

di DeathCross
9 stelle

Tra due trilogie (quella, incompleta, sugli Usa e quella, completa, della Depressione) Lars von Trier, nel 2006, torna a girare in danese (e in Danmark) realizzando "Direktøren for det Hele".
Lo Sperimentalismo provocatorio del Regista vede un elemento molto interessante nella scelta di adottare la tecnica dell'Automavision, 'inventata' da von Trier stesso e consistente nell'affidare la gestione dell'inquadratura ad un computer. La 'casualità meccanica' dell'operazione di ripresa elimina così il principio di ricerca estetica nella costruzione dell'immagine, rafforzando il gusto volutamente anti-artistico dell'Autore, e anche il montaggio, curato da Molly Marlene Stensgaard, non sembra far nulla per 'correggere' l'arbitrarietà robotica della fotografia, cosa che risulta (per me) particolarmente evidente nell'assenza di continuità per quanto riguarda il bilanciamento bianco.
Sul piano contenutistico, ancora una volta Lars von Trier distrugge ogni idealismo, mettendo in luce, in particolare, la Vacuità dell'Autorità (in altre parole del Potere), principio astratto la cui forza è fondata esclusivamente sulla propria 'impalpabilità' (o 'spettralità', se ci piace citare Stirner, e a me piace citarlo): infatti, quando l'Autorità assume la forma di un volto, di un corpo, insomma di un individuo e questo individuo inizia a sviluppare sfaccettature sempre più 'concrete', nel fisico e nella psicologia, il Potere che rappresenta rischia sempre più pericolosamente di crollare perdendo la propria credibilità.
Von Trier collega questa riflessione 'sociologica' (attenta in particolare a come l'autorità viene vissuta da chi la rappresenta senza averne controllo, chi la controlla o vuole controllarla senza rappresentarla direttamente e chi la subisce 'totalmente') ad un gioco meta-narrativo, introducendosi 3 volte nel racconto come narratore (ma anche riflettendosi in una vetrata) e prendendosi gioco della figura dell'Attore, nello specifico l'artistoide, significativamente senza indicare un 'regista' (interno al racconto) fisso. La gestione del Personaggio del "Direktøren for det Hele" del Titolo, tradotto credo correttamente in english come 'The Boss of It All' ma significativamente 'Direktøren' credo significhi anche 'regista', è costantemente contesa (a volte per desiderio di averne il controllo, altre volte per scaricare questa responsabilità) dall'interprete Kristoffer e da Ravn, il vero 'direttore' della compagnia che assume l'attore per impersonare l'inesistente presidente, ma inconsapevolmente e/o consapevolmente anche altri personaggi (pubblico?) 'gestiscono' la figura del 'grande capo' proiettandone le proprie interpretazioni, speranze e timori. Per assurdo, quindi, il ruolo interpretato è il ruolo del Regista/Capo, ovvero di colui che dovrebbe dirigere il 'tutto' (l'azienda? la narrazione?), ma doverlo interpretare significa ammettere che questo Capo/Regista non esiste, e così ci ricolleghiamo al Tema precedente (la natura astratta dell'Autorità) e con esso alla tecnica dell'Automavision, con la quale si annulla, oltre alla figura del direttore di fotografia (che non ho voluto qui trattare), il ruolo del Regista come 'Autore' (termine che amo o amato in senso artistico ma che, contraddittoriamente, sa di Autorità, concetto che invece detesto su un piano politico). Lars von Trier sembra quindi aver compiuto la promessa di auto-annullamento del regista fatta con Dogme 95 (citato in una battuta) e in particolare con "Idioterne", e forse non è un caso se, come (co-)protagonista, ritorna Jens Albinus, (non)capo degli 'idioti' nel Film del '98.
Chiudo intanto qui i miei pensieri (o deliri?) su quest'Opera, l'unica che teoricamente mi sarebbe mancata per completare il recupero dei Lungometraggi trieriani, aggiungendo solo un piccolo appunto sull'islandese Finnur, che io pensavo (e forse penso ancora) fosse pure un finto presidente.

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