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Marie Antoinette

Regia di Sofia Coppola vedi scheda film

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La recensione su Marie Antoinette

di ROTOTOM
8 stelle

La delicatezza di una vita senza tempo, una non vita sospesa in un non luogo in cui galleggia l’eterna bambina Marie Antoniette è il tributo di Sofia Coppola alla regina di Francia, capro espiatorio dei mali del regno di Luigi XVI e fautrice involontaria della rivoluzione francese. Questo dice la Storia. Il film dice altro, senza nessun intento di riabilitazione come erroneamente detto, ne’ spettacolarizzazione post moderna dell’era dei parrucconi come ventilato, ne’ videoclipparo Luhrmanniano alla Moulin Rouge come fatto credere a causa della colonna sonora contemporanea e rock-punk. Piuttosto, dolcissimo ritratto dell’incomunicabilità, cosa estremamente comune negli adolescenti che affrontano il mondo e non venendo capiti debbono lottare per affermare la propria identità. Maria Antonietta è ancora una bambina quando viene inviata dalla madre Maria Teresa d’Austria alla corte di Luigi XV come promessa sposa del delfino Luigi XVI, poco più che bambino anch’esso. Due adolescenti sulle cui teste e tra le cui gambe dipende il rafforzarsi dell’alleanza franco austriaca. Maria Antonietta è persa in Versailles in una porzione di tempo e di spazio fermo nei rigidi cerimoniali, nelle regole assurde, negli incomprensibili doveri che il rango le impone. Adolescente arriva e adolescente rimane, nonostante il matrimonio con il delfino del RE, Luigi XVI, adolescente anch’esso e dalla cui unione tutti si aspettano l’erede al trono. La Coppola scivola dolcemente sul corpo di Kirsten Dunst, acerbo e fremente di curiosità e sincera abnegazione al ruolo assegnatole, indugia su sul volto, sullo spaesamento che l’incomunicabilità con uno spaventato e titubante marito le provoca. E’ una fiaba moderna, è il dopo Cenerentola, quella della quotidiana vita di corte, circondata da cortigiane, vallette, dignitarie, la noia di una vergine sempre più suicida, adolescente che come tutti gli adolescenti lotta per ristabilire i canoni del linguaggio, i tempi e le consuetudini senza venire capita. Morto Luigi XV, il delfino viene incoronato e di conseguenza Maria Antonietta diventa regina di Francia. Senza averla mai vista, la Francia, essendo Versailles una sorta di enorme dipinto statico in cui le figurine impeccabilmente raffigurate fungono esclusivamente da cotillon, festoni agghindati e imbellettati nonostante al di fuori delle mura della reggia la storia implacabilmente avanzi. La storia è moderna come è moderna la colonna sonora, poiché non è la Storia, quella di Francia e della sua regina che viene raccontata, piuttosto viene messa in scena la vita di una ragazzina imprigionata in una boccia di cristallo e dell’inevitabilità della sua vita, senza possibilità di scelta. “Che Dio ci aiuti, siamo troppo giovani per governare”, queste le parole del giovanissimo Luigi XVI a corona fresca in testa, troppo giovani per sposarsi e fare figli, troppo giovani per il giogo delle regole e delle responsabilità. Il merito della Coppola è di mostrarci due adolescenti la cui giovinezza viene loro negata da responsabilità e molto più grandi di loro. Maria Antonietta non cresce, nonostante le maternità, rimane bambina, vergine nei confronti del mondo che non conosce, incomprensibile per lei costretta dalla noia ad occuparsi dell’abbellimento della reggia, sedotta come qualsiasi adolescente dai vestiti alla moda, alle scarpe, alla musica, ai divertimenti buoni solo per cercare di colmare una vita vuota, senza un obiettivo o un senso che non sia quello di generare. La sospensione di quel tempo dorato, luminoso e vacuo, crolla all’improvviso quando la Storia, il popolo francese allo stremo, irrompe nella sua vita, accelerandola e di lì a poco finendola. Ecco allora che il film letteralmente cambia registro, incupendosi, sprofonda nell’avvenimento, l’ elegantissimo affresco di un sogno barocco si scioglie mostrando la fatica della tela che ne ha retto i colori e lo sfarzo e così di botto Maria Antonietta cresce risvegliandosi dal torpore adolescenziale di una verginità sociale sempre protetta, si suicida decidendo di rimanere accanto al marito fino all’ultimo e quando a tavola soli, poiché tutti i dignitari parassiti sono fuggiti, lei gli prende la mano in un gesto semplice e libero da ogni convenzione, anche l’incomunicabilità finisce. Ci sono tutti i temi cari a Sofia Coppola, in questo splendido film, lento ed elegante, diretto con la sensibilità di chi evidentemente ha vissuto in prima persona il protettivo mondo dorato del benessere acquisito. L’isolamento, l’incomunicabilità di un mondo che non si capisce, la noia, il desiderio di cambiamento anche estremo, sono concetti già presenti nei due precedenti film della regista, Il Giardino delle Vergini Suicide e Lost in Translation, qui sublimati sul volto fresco di una bravissima Kristen Dunst, capace di comunicare con un’ ombra, con un accenno di labbra, uno scintillio di sguardi tutta la voglia di vita del suo personaggio filtrato dal ruolo che la incatena ai rigidi protocolli, ai manierismi, ai pomposi rituali di un mondo già ostinatamente e consapevolmente obsoleto. Ma è anche un film che non può non essere autobiografico, visto l’appartenenza della regista ad un clan e una dinastia cinematografica di prima grandezza entro il quale evidentemente, la giovane Coppola, quella che moriva goffamente sulle scale dell’Opera nel Padrino parte terza, ha vissuto protetta fino a trovare la propria strada di Autrice, con questo film, con la A maiuscola.

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