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Frutto proibito

Regia di Billy Wilder vedi scheda film

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La recensione su Frutto proibito

di mm40
5 stelle

Maltrattata al lavoro, una ragazza decide di tornarsene a casa. Ma il biglietto del treno costa troppo, al massimo potrebbe permettersi quello ridotto per bambini fino ai 12 anni. Così si trucca da ragazzetta e riesce a salire. I controllori però la scoprono e lei si rifugia in un vagone in cui un giovane ufficiale si prende cura di lei, credendola realmente 12enne.

A quasi una decina d'anni di distanza da Amore che redime (1934), Wilder torna dietro la macchina da presa. Il primo film fu girato quasi 'accidentalmente', in Francia, per una serie di circostanze fortuite; il Nostro era infatti impegnato essenzialmente come sceneggiatore, mestiere in cui proseguì la sua opera anche dopo il trasferimento negli Usa, cioè poco dopo l'uscita di Amore che redime. E non è infatti un caso che proprio il 1942 sia l'anno della consacrazione di Wilder: ma non come regista, sebbene questo Frutto proibito non sia assolutamente da disprezzare, bensì come autore dei copioni di Venere e il professore e di La porta d'oro, entrambi nominati agli Oscar (non una novità, si intende: era già avvenuto nel 1939 per Ninotchka). Una carriera in discesa, ma anche un talento indiscutibile; e ampie tracce di esso sono rivelate già in questo film, semplice e certo privo di grandi ambizioni, ma che sfoggia due buoni protagonisti (Ginger Rogers e Ray Milland) e soprattutto va a toccare tematiche scomode o pruriginose (costante del futuro cinema di Wilder) come l'amore fra un maggiorenne e una minorenne può essere. E lo fa con estrema delicatezza, senza calcare mai la mano; cosa dimostrata già dal titolo originale, il gioco di parole The major (il maggiore, di età ma anche di grado militare) and the minor. Ovviamente arrivano i traduttori italiani a (fraintendere, rovinare e) complicare il tutto, rendendo fosco e morboso il titolo di un'opera assolutamente innocente: Frutto proibito sembra più adatto a un softcore o a una commedia scollacciata anni Settanta. Bizzarra, nella versione italiana, anche l'idea di cambiare il nome della protagonista Susan in Suso: omaggio alla Cecchi D'Amico (che tanto ha dato al cinema italiano, ma che cominciò a scrivere solamente qualche anno dopo l'uscita di questo film)? Ritmo a discreti livelli, attori ben diretti, lieto fine necessario – siamo in fondo nel 1942, nel mondo l'atmosfera generale non è granché spensierata – e discreta girandola di equivoci: tutte altre peculiarità delle successive produzioni firmate Wilder, che proprio per questo titolo in fase di sceneggiatura instaura con Charles Brackett una preziosa e duratura collaborazione. Il soggetto è un testo teatrale di Edward Childs Carpenter tratto a sua volta da un romanzo di Fanny Kilbourne. 5/10.

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