Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film
L’altrove ottimo Akira Kurosawa (e stiamo parlando del più grande regista giapponese di sempre) stavolta ha messo davvero troppa carne al fuoco.
La critica che il film mette in atto è rivolta alla corruzione che coinvolge il mondo degli affari e quello della politica attraverso il sistema degli appalti edilizi, e almeno in questo riesce.
A differenza poi di molti altri film del regista (soprattutto di quelli antecedenti a questo) notiamo qui una studiatissima ricerca formale che sboccia in una fotografia superba.
Ma l’insostenibile e inutile complessità della trama congiunta a una durata eccessiva a dir poco ne fanno un film interminabile e difficilmente comprensibile.
Così, mentre i grandi imperi finanziari crollano, i legami familiari si frantumano e l’onore cede il posto al disprezzo, rimaniamo storditi dal repentino cambio/stravolgimento di identità dei protagonisti nel finale, che vorrebbe sorprendere ma si rivela solo un ulteriore e ostico ingarbuglio.
Peccato, perché la critica sociale sposata all’evolversi di personaggi complessi e (quasi) mai stereotipati è sempre stato il piatto forte di Kurosawa (si veda ad esempio “Cane randagio”, 1949), ma l’elevatissimo sforzo per seguire i contorti intrighi del plot annienta quasi del tutto il piacere della visione.
Anche i grandi maestri ogni tanto inciampano.
Rimane comunque magistrale la sequenza iniziale del matrimonio, dove la tensione dilaga, cospirazione e falsità sono nell’aria e il tutto culmina con l’arrivo della torta nuziale, autentica bomba emotiva e atto di sfida a un legame/potere familiare mai così fragile.
Ma il resto è solo un brutto quadro presentato in una cornice d’oro.
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