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La fine del gioco

Regia di Gianni Amelio vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La fine del gioco

di degoffro
8 stelle

Immaginate Antoine Doinel intervistato dalla televisione, nel riformatorio. "La fine del gioco", esordio alla regia di Gianni Amelio, realizzato per la RAI, può essere visto come un ideale corollario al capolavoro "I 400 colpi" di Truffaut. Come Antoine, Leonardo, il piccolo protagonista del film, si caratterizza per la spavalderia ribelle, il cipiglio determinato, la provocatoria intelligenza, l'innocenza infranta, la finta ingenuità, l'atteggiamento sospetto ma curioso, la medesima voglia di crescere lontano e libero dagli adulti che gli hanno procurato solo amarezze e delusioni. Amelio sembra prendere spunto, in particolare, dalla bellissima sequenza del lungo colloquio tra la psicologa ed Antoine in cui Doinel racconta candidamente la sua infanzia irregolare e sfortunata, alle prese con genitori assenti e del tutto disinteressati, per i quali era avvertito esclusivamente come un peso da scaricare ad altri. Con stile rigoroso ed essenziale, quasi documentaristico, il regista osserva, studia, segue il suo protagonista e ci offre un quadro lucido ed efficace di una realtà dolorosa (quella dei riformatori) troppo spesso dimenticata o, peggio ancora, ignorata, dalla stessa tv che dovrebbe fare il servizio (emblematica la sequela di domande che Leonardo fa al suo interlocutore chiedendogli se "Avete controllato anche le celle del rigore? Avete visto come viviamo? Come mangiamo? Se mangiamo sporco? Avete visto anche come beviamo? Se ci fa freddo? Dove dormiamo? Questo non lo avete visto, no! Questo per la televisione non è importante!") nonché il ritratto partecipe, credibilissimo ed affettuoso di un fanciullo problematico ma assai brillante, sventurato ma non rassegnato. Ci sono poi il tema del viaggio e quello del rapporto tra un adulto e un ragazzino, temi che torneranno spesso nei film del regista calabrese (basti pensare ai suoi due titoli più celebri "Il ladro di bambini" e "Le chiavi di casa"). Non manca, infine, una critica netta, in anticipo sui tempi, su certo tipo di televisione che invade avidamente la privacy delle persone, pur di fare spettacolo. In fondo è evidente che all'intervistatore, interpretato dal regista Ugo Gregoretti, poco interessa della situazione critica di Leonardo, nonostante invano cerchi di rassicurarlo sulla serietà, la bontà e l'importanza di quello che stanno facendo, ribadendogli che non lo considerano "un fenomeno da circo" e che "vogliamo che i tuoi problemi vengano risolti e stai tranquillo che in televisione nessuno ti guarderà come fossi Rivera, Rin Tin Tin o che so io!" (ma Leonardo, in più occasioni, con la spontaneità, la semplicità e la sfacciata sincerità tipica dei ragazzini, gli rinfaccia l'opportunismo strumentale dell'operazione). Basti vedere poi come Gregoretti, ogni volta che Leonardo gli racconta qualcosa di particolare, di inconsueto o di interessante, prenda immediatamente il microfono e cerchi di farglielo ripetere per registrare le sue dichiarazioni ed impressioni, invitandolo inoltre a parlare in italiano e non in calabrese, in modo che tutti gli spettatori possano capirlo. O l'indifferenza professionale che mostra quando Leonardo gli dice che il direttore del riformatorio ha allestito con ogni attenzione i locali (le tovaglie ai tavoli, le coperte ai letti, le piante nei corridoi), giusto per fare bella figura di fronte alla televisione, quando nel quotidiano la realtà è ben diversa e molto meno edificante. E poi quel viaggio in treno per consentire l'incontro tra Leonardo e la madre che altro è se non un'anticipazione dei vari "Carramba" e soci? Ed infatti Leonardo chiede: "Ma mia madre lo sa?" "No gli facciamo una sorpresa!" risponde il regista. Mai sottovalutare però l'intelligenza dei bambini. Leonardo, non appena il treno si ferma, approfittando del fatto che il suo interlocutore si è addormentato, scende ad una stazione, da solo, e va con il suo zainetto. Non gli interessa rivedere la madre. Preferisce continuare per la sua strada: "A casa non ci vuoi stare?" "No" "E nell'istituto nemmeno." "No" "E dove vuoi stare?" "Fuori!" Si è stancato di quella lunga intervista. La fine del gioco, appunto. Quel gioco organizzato ad hoc per lui, con cinismo, dalla Tv che può comunque continuare a giocare. Senza di lui però, irrimediabilmente da sola, in un ironico e sorprendente contrappasso. Uno scherzo quasi geniale e sottilissimo, organizzato da Amelio, paradossalmente, proprio con un film commissionatogli dalla Tv.
Voto: 7

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