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Il primo maestro

Regia di Andrej Konchalovskij vedi scheda film

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La recensione su Il primo maestro

di OGM
8 stelle

Nel lungometraggio d’esordio di Andrej Konchalovskij, si fondono ritratto etnografico e propaganda politica. Nel Kirghizistan della prima era sovietica la rivoluzione è una lotta corpo a corpo tra la tradizione musulmana e la modernità socialista. Il maestro Duishen, ex militare dell’Armata Rossa, inviato un villaggio siberiano per costruire una scuola, è il paladino di un’evoluzione culturale che non vuole attecchire. La popolazione locale vive ancora secondo i canoni di un feudalesimo di carattere patriarcale, in base ai quali la terra è possedimento di un solo uomo, da cui tutti dipendono e a cui tutti, a cominciare dalle sue numerose mogli, devono obbedire. Il monoteismo è divenuto un culto esclusivamente terreno, rappresentato da quel pioppo secolare che resiste da tanto tempo in mezzo al deserto, dominando l’intero circondario.  La continuità è affidata alla sterilità dell’ignoranza, che nulla è in grado di modificare. Duishen è costretto a farsi strada con le mani – a volte in senso letterale – per fare breccia in un atavico muro di diffidenza ed incomprensione. Il suo parlare di Lenin, del progresso e della grande Russia stimola l’immaginazione dei bambini, ma per gli adulti è un messaggio incomprensibile e pericoloso. Glo abitanti del luogo sono abituati al rozzo linguaggio della carne, che si esprime attraverso le prove di virilità, la macellazione degli animali e la compravendita delle giovani spose. Il nutrimento di base è il latte; berlo è spesso parte di un rito collettivo, che suggella le appartenenze familiari. In questo contesto spersonalizzato, in cui la coralità è manifestazione di un senso di comunanza solidissimo, però totalmente acritico, la vicenda di Altynai, la ragazza costretta ad accettare un matrimonio combinato con il capo della comunità, si inserisce come un elemento dirompente. La sua ribellione, morale e fisica, introduce, in quel mondo informe, il fenomeno, sino ad allora sconosciuto, della libera scelta sentimentale che, se contrastata, dà origine al melodramma. Altynai si è innamorata di Duishen, del suo coraggio di andare contro tutti, della sua disponibilità a fare qualsiasi cosa pur di dare un’istruzione ai bambini del villaggio. La sua visione è proiettata verso la civiltà industriale, dove il divenire si costruisce intervenendo attivamente sulla natura. Il suo gesto di spostare le pietre del fiume per creare un passaggio verso la scuola è la dimostrazione di una volontà di cambiamento finalizzata alla crescita: ma è anche, e soprattutto, un atto perfettamente in linea con un paesaggio aspro e  primitivo, in cui, per compiere quell’operazione, bisogna immergersi con i piedi nudi nell’acqua ghiacciata, e sollevare macigni con la sola forza delle braccia.  Cervello e muscoli si mettono in azione per il bene comune: un mito del comunismo che, equiparando lavoro manuale ed intellettuale, vuole rendere possibile, in qualsiasi condizione ambientale, la realizzazione degli stessi identici obiettivi sociali ed economici. L’ideale sovietico si propone di sostituire l’uniformità passiva con un’uguaglianza improntata alla partecipazione consapevole di tutti i membri. Le lacerazioni dei vestiti, della pelle, delle abitazioni che compaiono nell’ultima parte del film sembrano far riferimento ad un fronte compatto che comincia a sfrangiarsi; ciò accade  per effetto di una violenza che, scatenando la rabbia, lo scandalo, il dolore, fa emergere  - in maniera vistosamente teatrale – la turbinosa energia dell’individualità.  La destabilizzazione delle certezze è il punto di partenza della tragedia che, anche in mezzo ai contadini e ai pastori analfabeti, può avviare il percorso verso la salvezza. Non c’è forse modo più valido di onorare la dignità degli ultimi che aprire loro le nobili porte della catarsi, riconoscendo anche a loro, che non sanno e apparentemente non capiscono, la capacità di riflettere sulla propria vita ed imparare dagli errori. Konchalovskij non vuole che Il primo maestro sia considerato un film politico. è certo un’opera allineata, nella forma, al momento storico e alle esigenze del regime; tuttavia la sua sostanza è quella di un umanesimo senza tempo che, sia pur faticosamente, versando litri di sudore e sangue, riesce infine a sbocciare anche in mezzo ai sassi.

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