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The Life of David Gale

Regia di Alan Parker vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Life of David Gale

di grizabel
6 stelle

Ambivalente. In ogni suo aspetto.
Come sempre, Alan Parker alterna interessanti scelte registiche e di montaggio a più convenzionali momenti-sermone che perdono però di forza quando vengono ribaditi e sottolineati, mentre altri, più riusciti, acquistano peso e valore solo visti a posteriori, alla luce degli ormai famosi ultimi venti secondi del film.
Le interpretazioni attoriali sono tutte di alta scuola, a parte quella di Laura Linney che è di più, davvero straordinaria, ma tanto Kate Winslet quanto Kevin Spacey sembrano più che altro riproporre un repertorio consolidato a tratti privo di “carne e sangue”.
La storia, come è stato detto un po’ da tutti, non è raccontabile, pena togliere la sorpresa a quanti non l’hanno ancora visto. Diciamo solo che, forse, al posto di Parker avremmo evitato di aprire il film su Kate Winslet che corre disperata fra i campi tenendo in mano un oggetto più che facilmente riconoscibile, perché, con un minimo di intuito e di conoscenza dei classici stilemi hollywoodiani, qualunque cinefilo sa già dove andrà a parare parte della storia più o meno a metà.
Il messaggio – ché un film così nasce quasi solo ed esclusivamente per mandare un messaggio – è di quelli, se mi si passa il francesismo, che fanno incazzare. Ma non tanto da un punto di vista contenutistico, quanto da quello strettamente formale. The Life of David Gale finisce e tu scopri che, ancora una volta, hai visto un film che non esiste: ma se I Soliti Sospetti era il meccanismo a orologeria che era, e l’ultima frazione di secondo era l’ultima sfida di Verbal, qui il colpo di scena non si allontana poi tanto dal valore morale degli effettacci splatter di certi film privi di idee. Per raccontare la storia di un integralismo, di un ego debordante (ricordiamoci che Gale agisce solo per il proprio interesse, per riabilitare il proprio ricordo agli occhi del figlio), di un sistema giudiziario fondato su un’aberrazione, si poteva scegliere una narrazione di altro tipo, anche lineare e meno autoriale, che però fosse onesta fino in fondo, e fino in fondo scandagliasse le vere motivazioni dei personaggi, da non ridursi necessariamente o eroi senza macchia o figli di buona donna che dietro il paravento di onestà sono ancora più privi di scrupoli dei “cattivi” riconosciuti.
Oltretutto, in questa maniera si sarebbe ottenuto complessivamente un profilo psicologico più plausibile, e non ci si sarebbe trovati a chiedersi come sia possibile che una giornalista come Kate Winslet, spietata e integerrima nel suo lavoro, nell’arco di sole quattro ore di conversazione creda ciecamente al racconto di Gale, si lasci coinvolgere emotivamente nel caso e rimetta in discussione il suo intero sistema deontologico.
Il personaggio del tirocinante è incollato lì per sbaglio, la fotografia vira al banale, la pioggia continua è fuori luogo e snervante.

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