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Toby Dammit

Regia di Federico Fellini vedi scheda film

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La recensione su Toby Dammit

di tafo
8 stelle

Un bel passo nel delirio

Ma quale Mastorna, la mia vera ossessione cinematografica è il western cattolico che Toby  Dammit doveva interpretare. Il miglior film mai fatto che avrei voluto vedere sta qui nel frammento felliniano che faceva parte di un film collettivo. Mediometraggio che sconfina nel fantastico che gioca con un certo cinema gotico senza perdere del tutto la sua origine letteraria. Il film è la storia di questo attore che arriva a Roma per sostenere un ‘intervista televisiva e accettare un premio per l’opera svolta a teatro sui lavori di Shakespeare, ma in realtà ha accettato solo per potere avere una Ferrari da guidare senza freni nella notte romana. Quando arriva in aereoporto ha già la visione centrale della sua vita ovvero la bambina con la palla che lui indica come l’immagine del diavolo. Tale visione è solo un attimo di stacco dal mondo nel quale  Toby è inghiottito, impegni promozionali poco professionali che lui presenzia senza voglia cercando di smontare tra la nebbia dell’alcool il meccanismo. Le figure si affollano intorno a lui senza sosta e senza che lui riesca a dare la reale importanza a nessuno di quelli che incontra tutte ingranaggi di un sistema organizzato, anche se si tratta di una donna misteriosa che subito scompare. Il nostro attore sta poco al gioco accetta solo pensando alla ricompensa che gli spetta ma riesce a disorganizzare la logica della macchina-cinema che si è messa in moto filtrata dalla produzione cattolica che gestisce tempi e temi dell’opera. Toby non crede in Dio, crede solo nella fuga da quel  mondo che costruisce una immagine distorta ma che diventa l’unica immagine utile alla pubblicità del film. La lotta del nostro è quella di un corpo sgraziato, abusato e pronto a sfidare il diavolo per dimostrare la propria idea estrema e perdere la testa per dare un’immagine diversa di se, incompleta mutilata ma perfetta nella sua imperfezione. La scommessa di Fellini è quella di trasformare l’onirico in gotico e lanciare il corpo del cinema oltre il possibile oltre il ponte della visione normale.     

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