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Kalak

Regia di Isabella Eklöf vedi scheda film

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La recensione su Kalak

di alan smithee
6 stelle

Emil Johnsen

Kalak (2023): Emil Johnsen

TFF 41 - CONCORSO

Il danese Jan vive col trauma di una ripetuta molestia sessuale perpetrata dal tremendo padre pedofilo ai suoi danni.

Una scena che spiazza lo spettatore ad inizio film attraverso grazie all'atto esplicito con cui la regista Isabella Eklöf ha deciso di aprire la vicenda.

Raggiunti i trent'anni il ragazzo si è fatto una famiglia e si è trasferito in Groenlandia, ove lavora come scrupoloso infermiere, tagliando i ponti col terribile genitore, a sua volta separatosi dalla moglie.

La notizia dell'aggravarsi delle condizioni del genitore, induce Jan a reagire attraverso una esuberanza sessuale che lo spinge ad avere diversi rapporti sessuali extraconiugali con alcune donne groenlandesi che frequenta per lavoro.

 

Emil Johnsen

Kalak (2023): Emil Johnsen

Il tutto senza celare nulla alla costernata moglie, che tuttavia asseconda il marito senza apparenti eccessivi drammi.

Il secondo lungometraggio della regista Isabella Eklöf, ambientato in gran parte nei veri villaggi groenlandesi, si fa carico di portare avanti tematiche ed argomentazioni davvero forti, che vanno dall'accennato abusi sessuale alla bulimia sessuale che esso trasmette alla vittima protagonista di tutto ciò.

Ma il film spazia anche coerentemente su tematiche non meno drammatiche e pressanti come la solitudine che devasta, porta alla dipendenza dall'alcol e ad altre forme distruttive con cui l'essere umano cerca di sfuggire ad una disperazione latente e senza soluzione.

 

Emil Johnsen

Kalak (2023): Emil Johnsen

Argomentazioni importanti che tuttavia diventano sin troppo strumentali ad una storia di drammi familiari e disperazione che ammicca molto a trascinare dalla sua il pubblico.

Notevole la prova del protagonista, il rosso dal volto inquietante e porcino Emil Johnsen, perfetto nel ruolo del devastato protagonista, ovvero il "kalak" della comunità, a significare con disprezzo e ironia il suo essere straniero, fuggiasco e appena sopportato da una comunità che non lo considera uno dei propri, ma ne sfrutta le evidenti potenzialità.

Il film della Eklöf cerca la provocazione, poi sembra rinnegarla ed affronta sin troppo quietamente diversi devasti umani che i personaggi affrontano con disinvoltura, ma scontandone pesanti conseguenze.

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