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Alessandro il Grande

Regia di Theo Anghelopoulos vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Alessandro il Grande

di sasso67
8 stelle

Angelopoulos gira un film di quasi quattro ore, uscendo dagli schemi della produzione corrente, tanto che, pur avendo vinto il leone d'oro a Venezia nel 1980, il film uscì in Italia soltanto nel 1983, e chissà quanti lo videro nelle sale. "O' Megalexandros" è lento, come tutti i film di Angelopoulos, a tratti anche pesante, con piani-sequenza interminabili (Tullio Kezich, con involontaria ironia, scrisse che «...Angelopoulos sintetizza nei virtuosistici piani-sequenza»), ma riesce ugualmente ad affascinare, soprattutto grazie al modo di dirigere gli attori (si hanno veri e propri movimenti di massa) e di tratteggiare la figura di questo Alessandro Magno dei miserabili, misto di idealismo, violenza e follia, ben interpretato dal roccioso Omero Antonutti, coronato da una barba foltissima e da una capigliatura scarsa ma ispidissima. Questo Megalessandro incarna tutti i grandi condottieri e dittatori del passato, impersonandone vizi e virtù di capo: il brigante monatanaro si presenta come Gengis Khan e poi diventa di volta in volta Alessandro Magno, Giulio Cesare, Giovanni il Battista, Gesù, San Giorgio, Stalin e Mussolini, con in più gli attacchi di epilessia che ne completano il profilo con la follia, che già in gioventù l'aveva portato a sposare la donna che gli aveva fatto da madre. Megalessandro è però anche una maschera grottesca, una specie di pupo siciliano o di personaggio dei cartoni animati intabarrato in un'armatura antica (la sua silhouette ricorda un po' Marvin il Marziano dei Looney Tunes). Allo stesso tempo non rifugge certo dall'uso talvolta cieco della violenza: insieme ai suoi attentatori fa giustiziare la figliastra che prima aveva tentato di violentare e poi uccide con le proprie mani i prigionieri inglesi, scatenando la reazione dei soldati regolari.
Le metafore di cui Angelopoulos infarcisce il film sono numerosissime, la più scoperta delle quali è legata ai contrasti tra le varie anime della sinistra storica: contadini e proletari, intellettuali socialisti, anarchici. Nonostante il loro credo possa essere sintetizzato da una frase condivisa da tutti "la terra a chi la lavora", i contrasti sfociano nel sangue e nella lotta fratricida che non può che condurre alla dittatura e poi alla repressione da parte dello stato capitalista. Del resto né Megalessandro né i suoi lugubri miliziani, anch'essi avvolti in neri tabarri, suscitano alcuna compassione. A nessuno di loro Angelopoulos concede la dignità di veri personaggi, inquadrandoli sempre da lontano, sciamanti sulle pendici delle tetre montagne dell'interno greco.

Sulla trama

Durante la notte di capodanno del 1900, un brigante fugge insieme ai suoi complici dal carcere di Atene, prende in ostaggio alcuni nobili inglesi e se li porta dietro al suo villaggio di montagna, dove per iniziativa di un maestro socialista la terra è stata messa in comune e dove si è rifugiato un gruppetto di anarchici italiani ricercati. Il malvivente, conosciuto come "capitano Megalessandro", si tira dietro l'esercito che assedia il villaggio e, riuscendo a mettere i socialisti contro gli anarchici, diventa il dittatore assoluto. La sua follia condurrà l'intera comunità a un finale tragico.

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