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Palazzina Laf

Regia di Michele Riondino vedi scheda film

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La recensione su Palazzina Laf

di lamettrie
8 stelle

Un bel film sul lavoro e sul suo deturpamento, tratto da una storia vera. Opera non scontata di Riondino, che ha il coraggio di mostrare: sia tanti aspetti squalidi e disturbanti, ma reali e istruttivi; sia la Puglia, in tutta la sua veracità popolare, come anche nella prostrazione verso la corruzione e l’accettazione passiva della disonestà. Quando non dell’accettazione attiva di essa, come tanti opportunisti fanno: in primis le spie, che vergognosamente contrabbandano promozioni e agi economici con il ruolo di spie di padroni che sono tanto laureati e ricchi, quanto criminali.

Viene ben esibita la cultura italiana antisindacale e filo-padronale: l’individualismo e l’ignoranza si ritorcono contro gli stessi esseri umani, che sono molto più pronti ad attaccare chi li difende (qui il sindacalista Marra), che non i loro reali oppressori. Non che i sindacati siano istituzioni perfette, anzi; ma che in Italia una cultura sadomasochista filo-padronale sia ben forte, questo è storia. Del resto il fascismo, l’abbiamo inventato e permesso qui. Poi, nell’odio contro i diritti dei lavoratori e i diritti in generale, ha avuto imitazioni dappertutto. E pure la mafia, così ferocemente antisindacale, l’abbiamo facilitata noi come nessuno nel mondo sedicente progredito.

La pellicola si giova di scenografie ottime, donde risulta lo squallore estetico che ben si accompagna a quello morale, educativo e civile: il degrado urbanistico, sia domestico che pubblico, è ben immortalato dalla ottima fotografia, sempre vibrante su temi caldi, soprattutto in una realtà come Taranto che, come noto, per inquinamento e qualità della vita, è uno dei posti peggiori d’Europa, quelli in cui il capitalismo ha lasciato uno dei suoi marchi più tragici – anche per gli altri stranoti crimini che qui non vengono citati, in quanto non pertinenti a questo lembo di storia.

Quanti sono davvero morti prematuramente per l’inquinamento, così come per l’incuria dei dirigenti sulla sicurezza! Tutti aspetti che hanno fatto risparmiare i però ricchissimi proprietari.

E qui era più facile che altrove che la gente non si ribellasse, proprio per la secolare miseria del sud, che non permette di ribellarsi a quasi nessun tipo di ricatto.

Tale delinquenza di pochi ricchi potrebbe essere spezzata solo dall’alleanze delle tante vittime, che poi sono il gruppo maggioritario. Eppure l’individualismo più crasso impedisce a molti di vedere i vantaggi irrinunciabili della denuncia, al fine del proprio tornaconto economico. Il deserto morale ed educativo trova qui le sue conseguenze, che sono le più amate dal capitalismo: così le vittime non si ribelleranno mai, come invece sarebbe il minimo fare.

«Non pensare al sindacato, ma alla famiglia», si sente dire. Il protagonista sa solo vendersi, al miglior offerente, da buon italiano, purtroppo: abituato a farlo con i padroni, chiede persino di farlo al pubblico ministero che lo accusa. Altrimenti, perché avrebbe corso dei rischi, se non soltanto per trarne vantaggi personali?

Splendida la riflessione sul senso del lavoro, che può essere anche degradante e non deve mai esserlo, perché se no crea danni psicologici innegabili; ma deve valorizzare ciò che gli esseri umani sanno fare, a maggior ragione se dopo dopo tanti studi.

Ugualmente lodevole è la sottolineatura sul terrore che la categoria degli imprenditori ha, molto spesso, sul retto funzionamento della giustizia: l’onestà fa perdere profitti. Meglio delinquere, ma ferreamente votando partiti che permettano quella robusta corruzione che permetta a tutti i pochi imprenditori di non pagare le conseguenze di tale “legittimo risparmio”. Senza dimenticare che tanti imprenditori sono onesti.

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