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Race for Glory - Audi vs Lancia

Regia di Stefano Mordini vedi scheda film

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La recensione su Race for Glory - Audi vs Lancia

di giurista81
7 stelle

Prendete Le Mans 66 (il finale è quasi ricalcato, così come le trovate degli italiani furbacchioni che fregano gli avversari stranieri), Rush (da cui arriva Daniel Bruhl, il cecchino di Bastardi senza Gloria), Ferrari di Michael Mann (il duello tra Walter e Mikkola che si conclude con l'uscita di strada del pilota Audi), Veloce come il Vento (la regia, i dettagli sulla componente meccanica in funzione all'interno dell'auto e il montaggio serratissimo), Driven (struttura narrativa), la serie televisiva Ferrari interpretata da Castellitto (l'intervista a Fiorio che funge da trait d'union, in cui gli si chiede se abbia rimpianti o remore nel mandare i piloti incontro a rischi che vanno oltre il calcolato) e la barzelletta sull'ispezione dei carri armati di Mussolini (difficile credere che sia avvenuta una furbata del genere), quindi shakerate bene e avrete Race for Glory.

Buon film, specie se si evidenzia che è quasi del tutto italiano (c'è una compartecipazione inglese sul versante artistico). Scamarcio ci butta i soldi in prima persona, aiutato nelle sforzo dal premio oscar Jeremy Thomas, in Italia già coinvolto in diverse produzioni affidate a Matteo Garrone e, prima ancora, a Bernardo Bertolucci. Stefano Mordini, a gran sorpresa, dirige da specialista del genere d'azione (che non è, pur essendo un pluri-candidato al David di Donatello e ai Nastro d'Argento), molto aiutato dal montaggio di Massimo Fiocchi e Davide Minotti prendendo da modello Matteo Rovere e, sull'altro versante, giocando di continuo tra primi piani (leoniani) e dettagli (mano che cambia, mano che sterza, piedi che si azionano sulla pedaliera, soggettive dell'auto in corsa e così via). Il ritmo è serratissimo, con le sequenze delle corse nettamente predominanti sul narrato. Quello che mancava nel Ferrari di Mann arriva qua, a discapito di uno sfondo narrativo. Riccardo Scamarcio, protagonista, produttore e soggettista, adatta a finalità cinematografiche il mondiale di rally del 1983 e propone, tappa su tappa, l'intera stagione di riferimento cercando di drammatizzarla e spettacolarizzarla. Il taglio, seppur non fedelmente sovrapponibile a quanto veramente accaduto, è estremamente realistico. Non sono presenti “americanate” alla Fast & Furious, né interventi della computer grafica come visto nel Driven di Renny Harlin. Ecco che la resa filmica delle "tappe" è eccellente (non direi lo stesso del sonoro, comunque valido). Manca qualcosa sul piano della scrittura, specie nei dialoghi e nelle caratterizzazioni. Si introducono domande interessanti e ricorrenti nell'ambito dello sport automobilistico (cosa si cerca nella corsa? perché si rischia la vita?), a cui si tende a evadere nelle risposte (“devo vincere” ripete in continuazione Fiorio/Scamarcio, salvo poi mitigare la questione con un epilogo non proprio riuscito sul piano filosofico) o a cercare metafore non così brillanti di caratura bellica ("sono il comandante di un'armata"). In questi aspetti, curiosamente più semplici perché frutto del lavoro al cosiddetto tavolino, Race for Glory non è all'altezza dei vari Rush, Ferrari, Veloce come il Vento (manca tutta la componente smargiassa e tamarra) e Le Mans 66. Anche l'incidente che capita al giovane pilota è telefonato e inflazionato, peraltro sottolineato da Mordini ben prima che succeda con una serie di inquadrature strette e primissimi piani sul volto del pilota nonché dettagli sulla componente meccanica. 

Al di là di questi aspetti, Race for Glory è un film che diverte gli appassionati di motor sport (non penso possa piacere a chi non è appassionato di corse), ricchissimo di adrenalina. Scamarcio, pur non brillando, tiene il ruolo e poco importa se non parli con accento torinese. Tra i migliori del cast artistico segnalerei Katie Clarkson-Hill, di gran lunga la più espressiva. Bruhl, invece, è poco sfruttato. Volker Bruch (Walter) è senza infamia e senza lode, con una curiosa quanto non sfruttata passione per l'apicoltura (buttata là tanto per). Simpaticissima comparsata di Lapo Elkann nei panni dell'avvocato. Musiche sufficienti, mentre, lo ribadisco, è notevole il montaggio (vero punto di forza del progetto ai livelli hollywoodiani). Probabili nomiantion ai Nastro d'Argento e ai David di Donatello, con montaggio in lizza a quota interessante per un premio. Di certo, è un film che si esporta anche all'estero con qualche velleità. Visto al cinema, insieme ad altri due spettatori (“il solito casino italiano” nella realtà delle sale, purtroppo, non produce un aumento nel conteggio come avviene per le 103 auto da produrre).

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