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Dune: Parte due

Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Dune: Parte due

di obyone
7 stelle

 

Timothée Chalamet

Dune: Parte due (2023): Timothée Chalamet

 

Tre anni fa, in piena era pandemica, la prima parte di "Dune" uscì tra l'euforia della premiere veneziana e l'ansia di un flop che poteva rivelarsi lapidario. Benché non credessi al ricatto di un sequel prodotto solamente in caso di successo ammetto di aver consultato, qualche volta, l'andamento degli incassi globali per capire se "Dune" fosse in grado di arrivare a qui 350 milioni che l'avrebbero messo al sicuro da eventuali ripensamenti in casa Warner. "Dune - Part One" superò il break even point battendo il COVID, la disaffezione verso le sale e lo spettro dello streaming realizzando per quell'epoca un risultato entusiasmante. Ritornato nei giorni scorsi in sala ha aggiunto qualche spicciolo al bottino del 2021 raggiungendo in Gran Bretagna i 28 milioni di dollari di incasso. In Italia la riedizione non ha avuto lo stesso riscontro ma è possibile un futuro arrotondamento in eccesso degli introiti poiché le sale si stanno organizzando per proiettare la lunga maratona dedicata al primo romanzo di Frank Herbert. E forse qualche cinefilo o appassionato della saga fantascientifica nata negli anni '60 correrà sul serio in sala per guardare i due film, uno dietro l'altro, ed avere, così, una visione complessiva dell'opera che solo con la seconda parte può dirsi definitivamente completa.

 

Timothée Chalamet, Zendaya

Dune: Parte due (2023): Timothée Chalamet, Zendaya

 

Villeneuve ricomincia la narrazione dove l'aveva interrotta tre anni prima. Paul Atreides e Lady Jessica hanno oramai riparato tra le tribù del popolo Fremen dopo la sconfitta patita dalla casa Atreides su Arrakis. L'odio comune per gli Harkonnen, tuttavia, non è sufficiente ad accomunare gli Atreides al popolo delle sabbie. Molti chiedono l'allontanamento di Paul e della madre dalla comunità ma vi è una frangia particolarmente devota alla religione che crede alla profezia di un salvatore proveniente da un altro mondo.

"Dune - parte 2" ricalca, grosso modo, la seconda sezione del romanzo intitolata "Muad'dib" e la terza chiamata "Il profeta", e narra di come Paul Atreides sia diventato Paul Muad'dib o il Kwisatz Haderach della tradizione ancestrale, venerato dalle tribù del Sud di Arrakis.

Rispetto allo spezzatino prodotto da Dino De Laurentiis nel 1984, che costò a David Lynch l'insuccesso di pubblico e di critica, Villeneuve ha avuto la possibilità di ridurre la seconda parte del romanzo di Herbert senza tagli e con un minutaggio congruo all'epica impresa. La storia corposa narrata nel romanzo trova, perciò, nell'opera di Villeneuve la fluidità che era mancata nel "Dune" di Lynch, ovvia pietra di paragone su cui lo spettatore è chiamato a confrontarsi, volente o nolente.

Ciò che si era appena percepito nel predecessore, causa i diktat imposti dalla produzione, qui risulta molto più comprensibile ad un pubblico meno preparato. Le manovre di palazzo, gli intrighi del potere, le macchinazioni del Bene Gesserit sono i nodi che tornano al pettine a distanza di quarant'anni dalla prima frammentaria trasposizione del romanzo. La vita del prescelto, in seno alla comunità Fremen, assume, inoltre, la sostanza che meritava fin dall'inizio. Si narra dell'iniziazione di Paul, delle origini del suo sangue, dei costumi atavici del popolo del deserto e del ruolo del Bene Gesserit nel propagare la fede.

Villeneuve rispetta l'ossatura del romanzo ma non rinuncia ad apportare modifiche sostanziali riducendo alla gestazione di Alia i tempi del dominio Harkonnen sul melange (qui semplicemente "spezia"). Nel romanzo di Frank Herbert, invece, ci voleva più tempo prima che il Mahdi insorgesse contro la capitale Arrakeen, tempo in cui Chani, diveniva concubina e madre del figlio di Paul mentre Alia cresceva nelle conoscenze della sorellanza. Rimanendo sul territorio del paragone trovo sia più epico il minutaggio che Lynch dedicò alle ultime due sezioni del libro e ciò deriva, probabilmente, dalla necessità del regista americano di montare solo le scene fondamentali del proprio girato. In mancanza, dunque, di sequenze di raccordo la visionarietà condensata del maestro rendeva il film più aulico rispetto alla nuova versione. Ma c'è un'altra motivazione, a mio avviso, che rendeva la pellicola di Lynch un misto di incorruttibile eroismo e leggenda, e va cercata nel diverso approccio del regista canadese alla materia narrata. Passandomi il paragone con il popolo Fremen e con le fazioni che lo costituiscono credo di poter dire che la visione villeneuviana della venuta del Messia sia fondamentalmente laica come quella dei "sietch" settentrionali. Il giovane Paul non mostra mai di credere nel ruolo messianico che i nativi e la madre gli hanno tributato per fede o per convenienza. Il regista canadese mette spesso in contrapposizione il pragmatismo politico con la superstizione mostrando una maggior inclinazione verso il primo come elemento scatenante gli eventi. La regia si sofferma minuziosamente sulla percezione del sentimento di fede che risulta ben diverso agli occhi di ciascun soggetto: Usul, le veridiche, le opposte fazioni del popolo di Dune. A miei occhi, oramai blu della spezia del ragionamento villeneuviano, traspare una critica verso il fanatismo religioso e verso il vantaggio individuale ricavato dalla politica che non appariva nella versione lynchiana.

Nel "Dune" di Lynch Paul Atreides è il Kwisatz Haderach, l'eroe sanza macchia che combatte per usurpare i prepotenti e ridare il pianeta al suo popolo. L'epos messianico è puro e incorrotto da qualsiasi scorciatoia morale, da qualsiasi machiavellico tentativo di piegare la storia. Le capacità previsive di Paul dipendono dalla spezia nel film di Villeneuve, dalla divinità della sua figura profetica nel film di Lynch (e quasi sicuramente nel romanzo che dovrei rileggere). Per concludere il Paul interpretato da Kyle MacLachlan era più dio che uomo e Lynch era un fanatico dei "seitch" meridionali dal cui credo traeva maggior ispirazione.

 

scena

Dune: Parte due (2023): scena

 

"Dune - part 2" è un film molto cupo e violento in cui la parte più affascinante risiede, a mio avviso, nella descrizione bicromatica del popolo Harkonnen, tanto levigato quanto tagliente nella spada e nelle parole. L'universo Giedi Prime è di orrida bellezza. Le luci fredde mettono in risalto i neri oleosi della vasca del barone mentre le carni bianche raccontano un mondo privo di amore. Hans Zimmer martella, ma con minor impeto, le scene più epiche di battaglia e le cavalcate dei vermi. La sua musica è metallica e striscia nelle assonanze chiaramente vangeliane della passata fantascienza. Tecnicamente ineccepibile, maestoso nella scelta dei costumi (le sayaadine in particolare), votato al razionalmo architettonico, "Dune - part. 2" riscrive la figura di Chani che non può apparire, di questi tempi, come una concubina disincantata e sottomessa alla realizzazione delle sacre scritture. E nessun accenno si fa alla natura sessuale del magnifico barone interpretato da Stellar Skarsgard. Troppo cattivo perché se ne possa parlare apertamente. Nonostante David Lynch stesse già scrivendo la sceneggiatura del secondo volume (Messia) la fine del suo "Dune" non ammetteva repliche. Muad'dib liberava Arrakis dall'oppressione diventando eroe, principe e divinità di un poema compiuto. Rebecca Ferguson, invece, apre un immenso portone prima che si chiuda la porta sui titoli finali. La guerra santa è solo all'inizio. Il paradiso dei Fremen sempre più lontano.

 

Charlie Chaplin Cinemas - Arzignano (VI)

 

Rebecca Ferguson

Dune: Parte due (2023): Rebecca Ferguson

 

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