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Django il bastardo

Regia di Sergio Garrone vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Django il bastardo

di Gentox
6 stelle

Da quando, nel 1966, uscì Django di Sergio Corbucci, il filone cinematografico di genere dello spaghetti western si è arricchito di titoli che utilizzivano o sfruttavano se così vogliamo dire, il suddetto nome per il proprio protagonista in modo da attirare più pubblico nelle sale cinematografiche. Questi "sequel" apocrifi erano spesso (ma nemmeno poi così tanto) film poco impegnati, fatti solo per guadagniare qualche gruzzolo (infatti alcune case cinematografiche nascevano apposta per produrre western all'italiana, e una volta guadagnati i soldi, sparivano nel nulla, insieme ai film). Non è questo il caso di "Django il Bastardo", film del 1969 diretto da Sergio Garrone, fratello maggiore del noto attore Riccardo Garrone. Il regista romano (qui al suo terzo film in carriera) dopo un ormai irreperibile "Se vuoi vivere... spara!" e un buon "Tre croci per non morire", arriva con quello che è probabilmente il suo film più riuscito, ed uno dei film più originali del suo genere: Scritto a quattro mani con Anthony Steffen (qui in tripla veste di protagonista, produttore e, appunto, sceneggiatore) , narra la storia di un pistolero che giunge in una cittadina americana per vendicarsi di un tradimento subito da tre ufficiali confederati durante la guerra di secessione, che si sono venduti al nemico, provocando così la morte di tutti i loro uomini. Fino a qui sembrerebbe essere il classico western vendicativo, ma invece non è proprio così: La vendetta c'è eccome, ma l'originalità vera e propria, sta nel protagonista e nell'atmosfera: L'uomo infatti non sembra essere un vero e proprio essere umano, in quanto sparisce improvvisamente, per poi riapparire in altri luoghi, ma bensì uno spettro, un fantasma vendicativo, che deve semplicemente regolare dei conti in sospeso.Il regista gioca su questo aspetto, facendo credere allo spettatore che il protagonista sia effettivamente un fantasma (con battute come "Dove vai?" "All'inferno, e ti assicuro che non ci si sta bene"), per poi demolire queste convinzioni con la scena in cui il fratello minore dell'antagonista (Paolo Gozlino), interpretato da un buon Luciano Rossi (famoso soprattutto per il ruolo di Timido in "Lo chiamavano Trinità"), ferisce Django facendolo quindi sanguinare come un uomo normale. Ma nel finale la convinzione che il protagonista sia un fantasma riviene a galla, con lo scambio di battute fra il protagonista e Alida (interpretata dalla bella Rada Rassimov, famosa per aver recitato nel ruolo la prostituta che viene picchiata e interrogata da Sentenza nel capolavoro di Sergio Leone "Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo") dove Django afferma di "aver già avuto una vita". Anche l'atmosfera gioca un ruolo importante nella pellicola: I cimiteri di notte, i vicoli bui delle cittadina, le foreste desolate, si respira, insomma, aria di gotico, di grottesco che rendono il film, un semi-horror (nel senso più spicciolo del termine), con anche qualche (minima) caratteristica dello slasher, che verrà circa un decennio dopo con Halloween di Carpenter (sebbene già Mario Bava ci avesse già provato nel suo "Reazione a catena"). La regia di Garrone è buona, con qualche idea niente male (come la scena iniziale dove Steffen viene inquadrato dall'alto mente cammina) e mai statica. Qualche buco nella sceneggiatura c'è ed anche la recitazione dei personaggi secondari non è eccelsa, ma nonostante ciò il film scorre in maniera molto fluida, con un'ampia dose di tensione e di violenza che fanno balzare il film fuori dal mucchio.

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