Regia di Giulia Giapponesi vedi scheda film
C'è chi dice che la melodia risalga a un canto bretone del Cinquecento, chi ipotizza che sia di origine klezmer, parto di un musicista di Odessa nel 1919. Ma c'è anche chi sostiene che quella canzone - al centro della notevole opera prima di Giulia Giapponesi - "lassù in montagna" la conoscessero davvero in pochi, forse nessuno. "È un mito", azzarda qualcuno, pensarla come canzone nata durante la lotta partigiana. Ma le testimonianze orali raccontano un'altra storia. Fatto sta che Bella ciao è una canzone che si perde nello spazio e nel tempo, intercontinentale: la puoi ascoltare dagli altoparlanti di Smirne, in Turchia, con grande disapprovazione di Erdogan, ma anche in Iraq, in Cile, a Bogotà o a Tel Aviv in più di quaranta traduzioni diverse. La si sente intonare in occasione dei matrimoni come dei funerali, nella versione partigiana o in quella delle mondine e persino come canto resistenziale del popolo curdo. Con testimonianze tutte di alto profilo (imperdibile quella di Marcello Flores), la regista ricostruisce con piglio certosino la vicenda di una canzone che è di tutti e di nessuno e che proprio per questo sembra rispondere al processo genetico del rizoma, l'arbusto del quale diventa impossibile definire il punto d'inizio e quello di fine e che, al di là delle tante discussioni filologiche, ha fatto conoscere questa canzone dalla melodia ipnotica - tramite l'operazione, forse involontaria, de La casa di carta - anche alle generazioni più giovani che della Resistenza o del 25 Aprile sanno poco o nulla.
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