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Quando Dio imparò a scrivere

Regia di Oriol Paulo vedi scheda film

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La recensione su Quando Dio imparò a scrivere

di gerkota
5 stelle

MAI PROIETTATO AL CINEMA

VISTO SU NETFLIX NEL DICEMBRE DEL 2022

 

“Un'astuta manipolatrice, capace di mentire su tutto” paga il prezzo di questa sua abilità. E da investigatrice privata in incognita in una struttura psichiatrica spagnola a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, si ritrova a recitare forzosamente la parte della pazza pericolosa. Indaga su un suicidio che ritiene essere stato un omicidio avvenuto tempo prima fra quelle corsie, ma si ritrova lei stessa accusata di essere un’assassina. Legata a un lettino, sottoposta a elettroshock, vittima di un tentativo di stupro, maltrattata da una parte del personale sanitario e soprattutto dal primario, mentre solo due psichiatri rimasti affascinati dalla sua brillantezza cerebrale e bellezza esteriore si chiedono se ella non sia davvero chi dice di essere e finiscono per darle una mano.

 

Quando Dio imparò a scrivere | Sito ufficiale Netflix

Quando Dio imparò a scrivere - Una scena con Bárbara Lennie (foto Netflix)

 

Questo thriller psicologico uscito direttamente su Netflix, del regista catalano Oriol Paulo (sua la riuscita suspense story del 2016, Contrattempo) ci fionda di nuovo nelle atmosfere claustrofobiche dei manicomi che con le loro scenografie monastiche, i medici un po’ sadici e i pazienti-personaggi inquietanti e impenetrabili e imprevedibili, hanno fatto la fortuna di alcune pellicole del passato come, su tutte, il mitico Qualcuno volò sul nido del cuculo (Milos Forman, 1975). Per questa vicenda in immagini ispirata da un romanzo omonimo di fine anni Settanta (da qui l’ambientazione scelta per la riduzione cinematografica) i paragoni si sprecano, dal citato Qualcuno volò… , ai più recenti Gothika (2003), Changeling (2008), Shutter Island (2009) – quest’ultimo di certo quello da cui Oriol ha scopiazzato di più in quanto a equivocità del protagonista e per la presenza di un’indagine poliziesca – ai quali aggiungerei, per non sottrarmi a questa appassionante diatriba, lo struggente Adam Resurrected (Paul Schrader, 2008), che insieme a quello di Forman è sicuramente il film più bello fra gli altri menzionati.

 

Quando Dio imparò a scrivere finale con colpo di scena | il significato da  interpretare

Quando Dio imparò a scrivere - La commissione di psichiatri

con al centro Eduard Fernández (foto zazoom)

 

Quando Dio imparò a scrivere è un’opera discretamente confezionata a livello di scenografie e fotografia, ma il cui macchinoso filo logico tende troppo spesso in ingarbugliarsi su sé stesso e finisce, quindi, per segmentare il livello di partecipazione del pubblico e la compenetrazione nella vicenda di questa eroina carismatica ma fin troppo sicura di sé, Alice Gould, interpretata dall’attrice madrilena Bárbara Lennie (vista proprio nel succitato Contrattempo), troppo calata nella parte e dimentica di conferire al personaggio qualcosa di più a livello di sgomento e panico in diversi momenti che richiederebbero maggiore umanità e meno prosopopea e dimostrazioni di audacia. A duettare con Lennie ritroviamo l’affermato interprete di Barcellona, Eduard Fernández (premiato con il Goya nel lontano 2004 per la parte nell’apprezzato En la ciudad) che incarna l’ostile direttore della clinica, determinato a non credere alle avventurose considerazioni della sua arrogante e carismatica nuova paziente e a costringerla a una degenza da psicopatica, come tutti gli altri. Ruolo di rilievo anche per il talentuoso Pablo Derqui (fra i protagonisti dell’applaudita serie tv La cattedrale del mare, 2018), qui nei panni del matto lucido, con una fobia incontrollabile per l’acqua che quando lo tocca gli provoca reazioni degne di un acido corrosivo, determinante nell’agevolare i tentativi della protagonista di far valere le proprie ragioni.

 

Quando Dio imparò a scrivere: la spiegazione del finale

Quando Dio imparò a scrivere - Una scena con Pablo Derqui

e Bárbara Lennie (foto lascimmiapensa)

 

In un frequente e a tratti fastidioso avanti e indietro di flashback che mostrano Alice dentro il manicomio e nella sua lussuosa esistenza esterna, la vicenda procede in modo spezzettato e i colpi di scena che a volte funzionano, non agevolano però la scorrevolezza. Il giallo resta aperto fino in fondo ma non è detto che il tutto non sia abbondantemente ipotizzabile dall’inizio.

Voto 5,7.

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