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Babylon

Regia di Damien Chazelle vedi scheda film

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La recensione su Babylon

di Malpaso
6 stelle

Babylon è un mezzo passo falso di un regista di grandissimo talento.

La recensione che segue la trovate anche sul mio blog.

 

Esuberante e straripante, senza una misura che gli eviti di cadere spesso nella volgarità fuori luogo, Babylon è un film con molti problemi, incapace di prendere una direzione definitiva, rinnegando se stesso e la parola dell'autore, al quale viene a mancare un nesso logico tra l'intento dichiarato, ovvero realizzare una pomposa e personale dichiarazione d'amore al Cinema, e il risultato finale, che quasi risulta l'opposto. Ciò non impedisce comunque all'opera di risultare interessante, seppure per i motivi sbagliati.

 

Damien Chazelle ha provato a girare il suo kolossal autoriale, uno spettacolo sfarzoso e grottesco popolato dai personaggi degradati che abitano la Hollywood tra gli anni venti e i trenta. Spingendo sull'acceleratore sin dal lunghissimo incipit, la pellicola si prende con arroganza la simpatia dello spettatore grazie alla magniloquenza delle scenografie e al registro dissacrante, sboccato; la regia non è da meno, tecnicamente eccelsa e barocca nei movimenti di camera, sempre diretta al gusto dell'eccesso. Una scelta di campo netta, atta a dipingere un panorama umano triste e dionisiaco, ma esaltato dalla bellezza del fare cinema all'epoca del muto: infatti l'intuizione più interessante dell'opera è il contrasto tra i due mondi distintisi all'uscita de Il cantante di jazz (1927), il muto e il sonoro, vitale e gioioso il primo, rigido e avvilente il secondo. Curioso che a dirlo sia il regista di Whiplash e La La Land, dato che il sonoro è uno dei pilastri portanti della sua filmografia.

 

Abbiamo così un film diviso a metà anche nella sua struttura, ma quando il muto lascia il passo al sonoro lo sguardo registico si rivela parecchio offuscato. Chazelle si perde nella vastità della sua messinscena, trascurando i personaggi, poco approfonditi e impossibilitati a sorreggere la seconda parte del racconto, quando questi devono pagare il conto della lussuria e, in generale, del tempo che passa; oltre a ciò, divertendosi unicamente ad indugiare sui tratti negativi del paesaggio umano da lui tratteggiato, l'autore si arrocca in una posizione ambigua, di superiorità o di inconsapevolezza, atteggiamento grave in entrambe le ipotesi, che certo non lo allontana dallo snobismo della Hollywood alto borghese che egli stesso prende di mira. La posizione ideologica, inoltre, non appare mai nitida: il declino del Cinema muto e dei suoi protagonisti non viene semplicemente inquadrato senza censure, ma esaltato da uno stile visivo costantemente sopra le righe, mentre il progresso del sonoro rende i set meno fantastici (e fantasiosi), i personaggi più tristi, Babylon stesso si fa più borioso e pesante, anche per colpa di un epilogo evitabile, lungo, banale e completamente fuori tema.

 

Rimangono comunque un impianto produttivo gigantesco e affascinante, con un cast di grandi nomi e ispirato, e il solito jazz di Justin Hurwitz, brioso e caotico, l'elemento più riuscito del film. Ad ogni modo bisogna precisare che Chazelle rimane un autore con la maiuscola del quale, anche in un'opera non pienamente riuscita come questa, emergono i tratti e le tematiche caratteristiche; ma se Babylon doveva essere una personale lettera d'amore al Cinema, ne risulta piuttosto la superiorità artistica ed etica della musica, esemplificata nel personaggio di Sidney Palmer (Jovan Adepo), l'unico avente dei tratti positivi. Impegnato nell'accumulo senza controllo di piani sequenza e carrellate, Chazelle questa volta si è dimenticato di fare cinema. Peccato.

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