Regia di Antonio Leonviola vedi scheda film
Le scorribande criminali di un gruppo di adolescenti della Milano bene: dopo aver causato la morte di un’amica, i giovani si dedicano a un furto architettato con grande cura.
A suo modo I giovani tigri è un film sessantottino: non solo per evidenti ragioni anagrafiche, ma perché mette in un certo modo in discussione la contestazione giovanile del periodo, raccontandone però una sfumatura tutt’altro che edificante o lusinghiera. Certo, gli hippies non erano (tutti) figli di papà e la protesta partiva da valori di estrema sinistra, mentre i protagonisti di questa pellicola hanno tutti un evidente background criptofascistoide; ma nelle malefatte degli adolescenti narrate in questo film c’è una chiara allusione al conflitto intergenerazionale in atto e la furba conclusione la dice lunga sul punto di vista critico del regista e sceneggiatore. Si tratta di Antonio Leonviola, peraltro, classe 1913 e pertanto indubbiamente coraggioso nell’esporsi su simili tematiche senza il timore di passare per ‘apocalittico’; la storia in realtà funziona bene – per quanto fatichi a ingranare: il fulcro dell’azione è tutto nella seconda parte – e gli attori danno il loro contributo, benché manchino nomi eccellenti. Sì: c’è Helmut Berger, ma è giovanissimo e reduce dalla sua prima esperienza su un set (Le streghe, nell’episodio viscontiano ovviamente); tra gli altri poi compaiono Massimo Farinelli, Luca Della Porta, Vanni De Maigret, Martine Malle e Maria Pia Arcangeli, oltre a Ray Lovelock in una particina. Per Leonviola si tratta dell’ultima regia, a conclusione di una carriera dietro la macchina da presa durata oltre trent’anni. 3,5/10.
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