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Non drammatizziamo... è solo questione di corna

Regia di François Truffaut vedi scheda film

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La recensione su Non drammatizziamo... è solo questione di corna

di LorCio
8 stelle

Titolo italiano al primo posto della top ten degli adattamenti più indecenti, soprattutto perché fuorviante e fraudolento. Il titolo originale del quarto capitolo della saga di Antoine Doinel è Domicilie conjugal ed è chiaro: è il momento in cui sembra che il ragazzo de I 400 colpi abbia messo la testa apposto e sia sul punto di costruirsi una famiglia. Dunque il domicilio si rivela necessario. Ci sono anche le corna del titolo italiano, ma, appunto, anche le corna. È soprattutto la continuazione di una dolce storia d’amore. E poi il “drammatizziamo” è relativo: più che una drammatizzazione dell’esperienza del tradimento, Antoine e sua moglie Christine vivono la situazione in uno stato di silente e latente malinconia.

 

 

Qualcuno ne evidenzia il lato allegro e sereno della storia: niente di più sbagliato. François lo dice in una sua dichiarazione: era partito con un progetto, un racconto sulla serenità del matrimonio interrotto da un imprevisto e con un epilogo rassicurante, ma poi si è accorto che parlando di un adulterio non poteva esimersi dal rappresentarne la profonda, mesta tristezza. Non è il miglior film del mio amato Truffaut, ma ha sua ragione di esistere che veicola verso molti obiettivi: innanzitutto, con Domicilie conjugal, vuole mettere in risalto quanto l’apparenza inganni – ovverosia: Antoine sembra cresciuto, ma in realtà è sempre lo stesso, immaturo e smarrito – e come ogni giorno ci si possa rendere conto di quanto si è intimamente incompiuti nella finitezza del proprio animo.

 

 

È piuttosto un film di transizione verso un nuovo ciclo registico (che avrà la sua pietra capitale con Effetto notte) che serve a Truffaut per (non) parlare ancora una volta di se stesso: Antoine è François, ma forse qui un po’ di meno, perché il primo sembra essere soppiantato dal secondo, ormai esploso e indirizzato verso la via della maturità da molto tempo. È un altro tassello della sua cinematografia amorosa e personale, in cui si concentrano una miriade di autocitazioni e simbolismi e particolari (i fiori tinti nell’atrio – i fiori sono il simbolo della cultura giapponese – Antoine si invaghisce di una giapponese; il serbo scroccone; il telefono come veicolo verso il sentimento; l’ammirazione verso i genitori degli altri; il bisogno di essere amati; una locandina di John Ford; il lavoro per l’azienda idraulica; l’inglese “inventato”; lo strangolatore della porta accanto…). D'altronde il cinema di Truffaut è tutto un andiriviene di richiami e rievocazioni del suo cinema (quello da lui diretto e quello da lui amato). L’epilogo è risolutivo fino ad un certo punto, e solo in parte rivela (o si chiede?) ciò che più ci interessa: Antoine è ormai un uomo(?).

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