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Il piccolo ladro

Regia di Erick Zonca vedi scheda film

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La recensione su Il piccolo ladro

di ga.s
8 stelle

Erick Zonca ha raggiunto una certa notorietà per aver realizzato nel 1998 La vita sognata dagli angeli. L’anno dopo cambia decisamente registro, e gira Il piccolo ladro. La storia è quella di un ragazzo, Esse, che dopo essere stato licenziato da una panetteria di Orleans, ruba i soldi dello stipendio della sua ragazza e va a Marsiglia dove entra, prima in una banda di ladri capeggiata da Sylvain, e poi finisce alle dipendenze di Toni (fratello di Sylvain) come sorvegliante di una prostituta e poi autista dello stesso Toni. L’esperienza nel mondo del crimine diverrà per Esse una sorta di morte e rinascità, di discesa nel peccato e di durissima redenzione finale.
Erick Zonca si pone nel registro forte dei fratelli Dardenne (quelli di Rosetta), riduce al minimo i suoi mezzi, usa volti mai visti e soprattutto inesperti, che ciò nonostante rendono alla perfezione i loro ruoli (su tutti il protagonista, Nicholas Duchauvelle) e racchiude il suo film entro una durata assolutamente insolita (63 minuti). Certo non è una materia nuova, poiché il neorealismo, Pasolini, i Dardenne hanno già scritto quanto c’era da scrivere, ma ad ogni modo Zonca gira un film che non fa pensare a nessuno «l’ho già visto», ma se mai spinge a cercare i padri di questa storia, padri che certo nulla avrebbero da ridire su questo lavoro. Il piccolo ladro infatti aggiunge qualche dettaglio di diversificazion: per esempio, al contrario dei suoi “predecessori”, evita la tragedia di un finale nero, ma sceglie la redenzione (dovuta e assolutamente senza sdolcinature o carinerie di troppo), e soprattuto riesce a inserire, in una trama essenziale, alcuni attimi d’ironia, un’ironia che del resto contribuisce a rendere i momenti drammatici ancora più devastanti di quanto di per sé non siano già (in particolar modo l’ultimo “approccio” di Toni a Esse, e il vendicativo prefinale dove l’occhio della macchina da presa letteramente tortura gli spettatori più impressionabili).
La regia di Zonca non esagera nel mostrare, ma non è mai neppure pudica. Un esempio, come ho già detto, è nel prefinale dove insiste sulla crudezza del sangue, ma già prima, negli sguardi indagatori di Esse, nella prima punizione che subisce da Toni (un primo piano che vale molto di più di altri dettagli del resto imposibili da riprendere, almeno non in un film di questo genere), Zonca dimostra la sua forza equilibrata, non gratuita, non fasulla. La storia, scritta dallo stesso Zonca con Virginie Wagon, è snella e precisa, non lascia mai dubbi interpretativi e sorprende quando sterza dalla tragedia alla redenzione, descrivendo una specie di carnale divina commedia, nella quale un giovane, un po’ stupido e parecchio sprovveduto, cede alla corruzione del presunto denaro facile, attraversa un inferno fatto di superbia, lussuria, ira e violenza, e ritrova infine la redenzione e la forza di un gesto di autocritica che ne sentenzia la definitiva rinascita.

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