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Il bambino nascosto

Regia di Roberto Andò vedi scheda film

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La recensione su Il bambino nascosto

di Gangs 87
7 stelle

Napoli, Piazzetta Mater Dei, Gabriele Santoro è un solitario maestro di musica. Ha una cattedra al conservatorio e arrotonda con lezioni private di pianoforte. Una mattina, in un attimo di distrazione, il figlio di un vicino di casa si intrufola nel suo appartamento, chiedendo al maestro aiuto per la sua vita in pericolo.

 

Ed eccoci di fronte ad uno di quegli argomenti che il cinema ci ha rifilato non poche volte: il classico rapporto padre/figlio da recuperare, rivedere, riadattare. In merito alla pellicola di Roberto Andò, il dualismo di cui sopra va creandosi tra Gabriele, isolatosi dalla famiglia perché incapace di vivere liberamente la propria omosessualità, e Ciro, scugnizzo sfacciato che fa delle azioni violente il mantello con cui coprire la propria timidezza. Se provassimo però a guardare alla trama attraverso un altro occhio, potremmo trovare nel rapporto tra Ciro e Gabriele si frappone una sorta di specchio, come se il maestro, ormai abitudinario e prevedibile, rivedesse quell’io bambino, ribelle e vivace, messo a tacere da tempo.

 

La pellicola è composta da due momenti paralleli: la lotta per la sopravvivenza, considerando che alle calcagna di Ciro c’è il boss del quartiere pronto a fare fuori lui e chiunque si metta di traverso, e la scoperta di se stesso che avviene in Gabriele, interpretato da un Silvio Orlando che con quel suo sguardo smarrito riesce a racchiudere l’essenza del suo personaggio, tanto quanto in Ciro, permettendo ad entrambi di imparare a guardarsi dentro ad una profondità forse mai esplorata.

 

Nel film di Andò c’è però qualcosa che non funziona. Nel momento in cui si prova a mescolare la tremenda realtà dei quartieri partenopei al sentimentalismo improvviso, il tutto sembra forzato, senza radici di appartenenza e, in un certo senso, non comprensibile a pieno. Dopotutto Ciro e Gabriele sono estranei, vivono esistenze totalmente opposte e l’unico cardine che li accomuna è l’assenza dell’amore familiare da loro stessi respinto, troppo poco per generare quel sentimento di spinta al cambiamento a cui assistiamo nel finale.

 

Se Andò avesse fatto in modo di lasciare ancora di più sullo sfondo la situazione camorrista che ad un certo punto sembra prevalere, concentrandosi invece sul solo rapporto tra i due protagonisti (forse) il risultato finale sarebbe stato più convincente.

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