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La corona di ferro

Regia di Alessandro Blasetti vedi scheda film

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La recensione su La corona di ferro

di dedo
6 stelle

Con questo film chiudo il mio ciclo mnemonico  in campo cinematografico. Visto nel ’42, in una brutta giornata di settembre, è rimasto nei ricordi come il mio primo lungometraggio, di cui mi era rimasto in mente solo il titolo ma non il contenuto. Per tutti questi anni ho sempre desiderato rivederlo per soddisfare uno iatus cinefilo così lungo

Alessandro Blasetti inizia come critico cinematografico e fonda nel ’25 la prima rubrica dedicata al cinema (“Lo schermo”), prima su un quotidiano, in seguito come rivista autonoma a cadenza settimanale. Il film di esordio (“Sole”) è un’elegia della politica agraria di Mussolini. Invitato dalla “Cines”, dirige “Resurrectio” (’30) che fu il primo film sonoro italiano. Dirige diverse opere molto vicine alla politica del P.N.F.. Nel ’41 compose “La corona di ferro” (presentata nello stesso anno alla Mostra Cinematografica di Venezia, ottenendo la Coppa Mussolini come migliore opera) e “La cena delle beffe”, che ebbero gran successo di pubblico. Non avendo aderito alla Repubblica di Salò, uscì pressoché indenne nel dopoguerra e continuò la sua attività. Negli anni ’50 diresse “Altri tempi” (conosciuto anche come “Zibaldone n° 1”) e “Tempi nostri” (“Zibaldone n° 2”). Nella prima metà degli anni ‘50 contribuì fortemente al lancio della coppia Sophia Loren e Marcello Mastroianni con il film “Peccato che sia una canaglia”. Dal ’62 si attiva per la Televisione intuendone le potenzialità di spettacolarizzazione per le masse

Il regista ha sempre parlato del film come espressione, in chiave favolistica, di una mera esaltazione del pacifismo contrario a qualsiasi forma di aggressione e di conquista con la forza militare (strano nel primo anno di guerra della Nazione da parte di un regista di regime) affermando “di aver voluto manifestare la sua avversione alla violenza, alla conquista, all'eroismo sterile”. In realtà , forse involontariamente, compie un’opera di esaltazione ariana espressa mediante una novella, saccheggiando tutto il possibile dai miti, leggende a sfondo epico, ballate popolari, credenze religiose. In questo modo crea una situazione narrativa ed ambientale cupa, drammatica, dai risvolti crudi e crudeli, con effetto più kitsch che kolossal. Nella realizzazione spesso si ripete in situazioni ambientali e gesti, che, oggi, apparirebbero ingenui. Pur avvalendosi di un cast di attori, al massimo delle potenzialità dell’epoca, non riesce a svincolarsi completamente  dai film del periodo del muto, nei quali la recitazione è più accentuata nelle pose, negli atteggiamenti, nella gestualità, negli sguardi, rispetto all’avvento del sonoro, sottolineato dal frequente inserimento di pagine scritte della favola allo scopo di interpretare la vicenda più agevolmente. Tuttavia il tessuto narrativo scorre, sia pure con una certa difficoltà a comprenderne correttamente il filo, specie per le parentele ed i rapporti fra i numerosi personaggi. Mattatore è il Re di Kindaor, Sedemondo (Gino Cervi). Fratricida, arrogante, crudele, vendicativo, incurante delle tristi profezie che pendono sul suo capo, ma pronto a porvi rimedio. Cerca di portare fuori dei confini del regno la corona di ferro, dai prodigiosi effetti di giustizia nei luoghi ove permane, fa calare nella valle dei leoni, verso un destino infausto, il nipote Arminio (Massimo Girotti), si adopera “amorevolmente” di proteggere la figlia Elsa (Elisa Cegani, nella vita reale moglie del regista) confinandola in una residenza, circondata da tre ordini di recinzione, sino all’età di andare in sposa al vincitore di un torneo principesco all’ultimo sangue. Solo quando vede che chi sta per aggiudicarsi la vittoria è Eriberto (Osvaldo Valenti), Re dei Tartari, crudele, subdolo e scorretto, inviso alla figlia, appare disposto a cedere piuttosto il regno che accettare il matrimonio tra i due. Ma Eriberto non ha fatto i conti con Arminio, che, per sconvolgimenti tellurici, riesce ad uscire dalla valle dei lupi e, comportandosi come uno scansonato Tarzan, dopo essere divenuto il campione del popolo della montagna ed essersi imbattuto e innamorato della loro regina Tundra (Luisa Ferida) batte Eriberto, ma chiede di sposare Tundra, ancora diffidente circa le intenzioni di Arminio. Lo scontro finale fra i due popoli è provvidenzialmente scongiurato da una frana (ancora!) del terreno che impedisce il contatto fra i due eserciti. Tutto ciò avviene nella Gola di Natersa, sorvegliata da 20 anni dal formidabile arciere Farkas (Primo Carnera). La scenografia è discutibile. Troppe ripetizioni, costumi anonimi per i personaggi altolocati e vestiario delle truppe in guerra che presentano copertura della zona “pudenda” più simile ad un pannolone per anziani che ad un vero simulacro di abito (mi è balzata alla mente le condizioni del nostro Esercito che, in quel periodo, combatteva in Africa). Il film dimostra abbondantemente gli anni che ha e, se non fosse un riferimento stilistico di un nostrano modo di condurre un lungometraggio, avrebbe potuto rimanere confinato negli archivi. Più per motivi sentimentali che per lo spessore filmico: voto 6

Sulla colonna sonora

Luisa Ferida. Donna di temperamento, dalla recitazione essenziale, di grande sensibilità e capacità espressiva, anche se spesso supera i limiti del personaggio
Osvaldo Valenti. Esprime in pieno la sua vera personalità di arrogante, infido e crudele
 La colonna sonora è ininfluente

Su Alessandro Blasetti

Confesso che, nella lista dei miei registi preferiti, Blasetti si trova quasi in fondo. Quindi chiedo di giustificare la mia prevenzione nei suoi riguardi. A prescindere, il film è un’opera Kitsch che a mio avviso è stata sempre sopravalutata e non è più in grado di offrire punti di interesse consistenti

Su Massimo Girotti

Nonostante gli sia toccata una parte sufficientemente ridicola, da Tarzan, mantiene un buon controllo attoriale e manifesta le sue capacità recitative con impegno e spessore, che sono state confermate anche a distanza di tempo.

Su Gino Cervi

E’ forse il migliore attore del ricco cast. Nonostante una certa carica enfatica è capace di mostrare una recitazione adeguata e, se vogliamo, più moderna rispetto all’epoca del film.

Su Elisa Cegani

Trentenne, aggraziata non bellissima ma dall’aspetto accattivante, offre una prova un po’ melensa, ma dignitosa

Su Rina Morelli

Picola partecipazione, svolta con disinvoltura

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