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Soul

Regia di Pete Docter, Kemp Powers vedi scheda film

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La recensione su Soul

di chinaski
7 stelle

The Great Beyond è una luce bianca nella quale le nostre anime, dopo la morte, torneranno, dissolvendosi in essa. E’ la stessa luce che ho visto durante la mia prima esperienza con l’elleessedì, prima di morire e rinascere nel mio corpo e di capire e sentire da dove vengano e come si formino le emozioni al nostro interno (la cui osmotica storia viene raccontata in un altro psichedelico lavoro della Pixar, Inside Out).

Quando 22 arriva sulla Terra e si incarna nel corpo di Joe Gardner, professore di musica e pianista jazz, partecipiamo all’incanto di cosa significhi scoprire il mondo per la prima volta, attraverso le percezioni, attraverso una connessione sensoriale con esso. E’ come tornare ad essere bambini e ricordare tutto quello che abbiamo dimenticato. 

Poi c’è The Zone, il luogo metafisico in cui ognuno di noi può arrivare durante un’attività che ci coinvolga totalmente, il miglior esempio è una performance artistica (suonare, scrivere, dipingere) ma anche qualsiasi azione che ci faccia essere qui e altrove allo stesso tempo, poi ci sono alcune Lost Souls, che si aggirano come dannati nel cerchio senza uscita di un’idea compulsiva o di una ossessione.

Soul è un percorso lisergico (compiuto attraverso il cinema) nel suo costante trasformare pensieri e sensazioni in linee, colori, suoni e anche odori, senza che ci sia nessuna frattura, in una sinestesia narrativa e in una espansione cognitiva che ci mostri in maniera così limpida quanto sia importante trovare il nostro posto nel mondo, dovunque esso sia.

L’incredibile dono della vita può risplendere solo al di fuori (your inside is out when your outside is in, your outside is in when your inside is out, cantavano i Beatles) degli schemi (e delle gabbie) di abitudini, routine, aspettative e costrizioni. Se accettassimo la consapevolezza che ogni nostro respiro potrebbe essere l’ultimo non saremmo più schiavi del grigiore di un modo di vivere che non ci appartiene ma è solo il riflesso di un condizionamento, quello della società in cui siamo capitati, rinchiusi in un involucro di carne e ossa e sangue che un giorno lasceremo, con la speranza di esser pronti per quel momento (it takes a lifetime to die and no time at all, scriveva il vecchio Hank).

Il jazz è improvvisazione, certo, ma può essere anche un approccio alla vita (ce lo diceva qualcuno anche in Collateral di Michael Mann), saper imparare a prendere le cose come vengono e a trasformarle nella nostra personale melodia, fino a che la possiamo sentire nel cuore e farla risuonare anche in quello degli altri, nella ricerca di quella scintilla che ci faccia comprendere che il nostro esistere non è altro che un viaggio unico, un flusso di struggente splendore, come la luce del giorno che filtra fra le foglie di un albero in un attimo di quiete e bellezza assoluta.

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