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L'ultimo treno della notte

Regia di Aldo Lado vedi scheda film

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Raffaele92

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La recensione su L'ultimo treno della notte

di Raffaele92
6 stelle

Varianti. È tutta una questione di varianti. Da Bergman a Craven, da Craven al cinema italiano di genere. Eppure a nessuno verrebbe in mente di associare “La fontana della vergine” (1960) a “L’ultimo treno della notte”. Ma in fondo, non accadde forse qualcosa di incredibilmente simile quando a “La sfida del samurai” (1961) fece eco “Per un pugno di dollari” (1964)?

D’accordo: Aldo Lado non è di certo Leone. Ciononostante, anche nel caso in analisi, il trasferimento di certo cinema straniero al nostro si è rivelato efficace e riuscito.

Il regista, in un’intervista facente parte degli inserti speciali del dvd, ammette di aver visto “L’ultima casa a sinistra” solo dopo aver realizzato il suo “ultimo treno della notte”. Nello specifico, afferma di non essere stato neppure a conoscenza del film di Craven prima di aver concepito e girato il proprio. Con tutto il dovuto rispetto, c’è da crederci davvero poco.

Ma non importa, perché come ho poc’anzi accennato, la pellicola funziona.

Al posto dei boschi vi sono qui le stazioni sudicie e malsane, i treni silenziosi e popolati di loschi e poco affidabili individui, tra i quali spicca il ripugnante personaggio interpretato da Franco Fabrizi.

Al posto di David Hess, Ennio Morricone.

Aldo Lado tenta, esattamente come fece Craven, di colpire duro accumulando eccessi e violenza brutale. L’intento di scioccare, ripugnare e sconcertare chi guarda può dirsi ancora una volta conseguito: la violenza è a dir poco disturbante.

Stavolta però il bersaglio principale è una borghesia ritenuta ipocrita e colpevolmente ignara dei pericoli retrostanti la società. Il regista non usa mezzi termini e parla fin troppo chiaro: montaggio vuole che mentre le ragazze vengono stuprate e uccise (sequenza immersa in un magnifico e straniante blu), ci scorrano davanti le immagini dei genitori che – all’oscuro di tutto – ballano spensieratamente e appassionatamente sotto le note di Morricone, che ancora una volta regala composizioni sublimi.

Tra critica sociale e violenza degenere prende corpo un film crudo e grezzo, ma solido, compatto e coinvolgente, con un grande Enrico Maria Salerno.

Piccolo cult.

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