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Nessuno di speciale

Regia di Gia Coppola vedi scheda film

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La recensione su Nessuno di speciale

di 79DetectiveNoir
4 stelle

Maya Hawke

Mainstream (2020): Maya Hawke

 

Ebbene, alla 77.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, alla Sezione Orizzonti, in première assoluta, precisamente in data 5 Settembre, Gia Coppola (classe ‘87, all’anagrafe Giancarla, nipote di cotanto Francis Ford, da non confondere inoltre con l’apparentata e al momento decisamente più conosciuta Sofia) ha presentato la sua interessante, seconda opera registica dopo l’intrigante e ben accolto Palo Alto, vale a dire l’acida, spietatissima, cinica ma al contempo dolcissima (può sembrare un ossimoro di sinonimi contradditori, invece è tutt’al più una speculare, potremmo dire, combinazione aggettivale di significanti per l’appunto apparentemente antitetici, invece profondamente combacianti di similare attrazione ed identica, espressiva natura congiuntamente bipolare) Mainstream.

Mainstream è un film scoppiettante della durata veloce di un’ora e trentaquattro minuti che, perdonateci il dovuto gioco di parole indispensabile, è sicuramente e leggermente più mainstream rispetto alle altre pellicole che sono state presentate al Lido. Ove, come sappiamo, per ovvie ragioni di emergenza sanitaria dettate dal tutt’ora imperante stato di calamità pandemica del Covid-10, la selezione dei film statunitensi, dunque a più alta fruibilità commercia(bi)le di massa (sì, si sa, l’USA non produce solo blockbuster, come nel caso del film qui preso in questione, ma certamente un film di provenienza statunitense è sempre un biglietto da visita importante per attirare, a prima vista, un pubblico maggiore rispetto alle pellicole provenienti altrove), è stata dimezzata, anzi, quasi azzerata rispetto alle scorse edizioni festivaliere.

Trama:

Frankie (una meravigliosa Maya Hawke) è una losangelina barista, ancora traumatizzata dalla scomparsa del padre, che tira a campare come meglio può, provando a barcamenarsi fra i suoi indelebili, mai del tutto vinti patemi post-adolescenziali e una disperata, comunque imbattibile, intrinseca, frenetica ansietà, comprensibile e a suo modo piacevole, di vivere con vogliosa, ancora spericolata innocenza forse, non più come una volta, spensierata eppur giammai ancora doma. Soprattutto, in cuor suo, Frankie spera in un futuro migliore e più radioso nel quale possa emanciparsi dalla sua proverbiale vita, diciamo, sfigata e pasticciata.

Un giorno conosce per magia (o per sfortuna sua?) il bizzarro Link (un incontenibile Andrew Garfield). Un personaggio carismatico, probabilmente pericoloso o soltanto, alla pari di Frankie, egualmente arrabattatosi alla bell’è meglio per cercare la sua strada in tale mondo confuso ove tutti pare che debbano squallidamente e sfrontatamente esibirsi impavidamente pur di ottenere un briciolo di approvazione altrui?

Al che, Link propone a Frankie di registrare le sue assurdità più strambe, colorate, forse pindaricamente geniali o solo follemente esuberanti per condividerle su YouTube. Sul canale di Frankie, subito vengono ottenute virali e spasmodiche visualizzazioni esagerate ed impressionanti. E la coppia va alle stelle, facendo faville e scintille sotto ogni punto di vista.

I due hanno, come per miracolo, eh sì, infiammato le platee virtuali ed agguantato il successo in maniera studiata, assolutamente non preventivata o invece da Link furbescamente a lungo covata e, in ogni dettaglio, programmaticamente pianificata e perciò la rendita è stata (in)aspettata a bieco, arrivista, maniacale, egoista e menefreghista sfruttamento della stessa guardona e, a suo modo, ipocrita e stronza, anzi, impudente e impunita società puttanesca del web impulito?

Peraltro, come si suol dire, non c’è due senza tre ed ecco che spunta un terzo (in)comodo, il cosiddetto miglior amico di Link, ovvero Jake (Nat Wolff) a ravvivare, anzi, a movimentare rocambolescamente la farsa della stessa farsa o della stessa buffonata colossale a base di scaltre e/o stupide cialtronate e sempre più incasinati intrallazzi, (s)fatta d’esagitati, intraprendenti, irrefrenabili e grottescamente esilaranti condivisioni a tre smodate.

Trasformando la vicenda in un simpatico eppur allo stesso tempo agghiacciante balletto pantomimico di bugie sesquipedali, di nervosismi e sovreccitazioni imbarazzanti.

Materiale esplosivo e del tutto contemporaneo quello descritto e messo in scena da Gia Coppola.

Ma il suo film, paradossalmente, non dice nulla di nuovo sul fronte della pazza “socialità” della rete, è carino, sì, si lascia vedere volentieri ma risulta già anacronistico. E diviene esso stesso sinonimo d’inefficacia e banale requisitoria appetibile, sì, commestibile a livello prettamente riguardante il suo essere un cercato-ricercato e ironico divertissement non pretenzioso, quindi volutamente innocuo ma, contemporaneamente, nei suoi chiari, altresì inevitabili intenti pedagogicamente dissacranti e moralistici, letto in chiave di strampalata (aggiungiamo noi, evidenziamolo nuovamente, scontata) dramedy indie creata comunque appositamente a scopo socialmente educativo alla ricerca di telefonati sensazionalismi fini a sé stessi, senonché filmata in modo acerbo dalla Coppola e con stile furbetto, capziosamente in cerca di ovvii consensi da parte dei tediosi e prevedibili, demonizzanti haters del web, c’è apparsa come una tenera bischerata presto dimenticabile e non infiammabile, in senso ideologico, cinematografico e no. Sebbene, ripetiamo, Mainstream sia di certo godibile e le prove affiatate dei suoi tre bravi protagonisti principali si rivelino gradevoli e spesso vincenti.

Però, oramai è stato già detto tutto e il contrario di tutto sui social.

Per finire, Andrew Garfield se la cava egregiamente ma c’è parso, a tratti, incarnante soltanto la sua involontaria, patetica, epocale parte in The Social Network di Fincher.

 

 

di Stefano Falotico

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