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Take Point

Regia di Byung-woo Kim vedi scheda film

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AndreaVenuti

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La recensione su Take Point

di AndreaVenuti
6 stelle

Take Point, Kim Byung-woo, 2018

locandina

Take Point (2018): locandina

Kim Byung-woo è sicuramente un nome noto a chi studia cinema coreano contemporaneo e sicuramente lo ricorderete per quel gioiellino claustrofobico di The Terror Live, un filmone interamente ambientato in un piccolissimo studio radiofonico, raso letteralmente al suolo; film in continua oscillazione tra mockumentary, disaster movie e thriller socio-politico (una spietata critica alla società coreana in special modo sul versante istituzioni) il tutto condito da una regia tonitruante da far invidia al miglior Tony Scott.
Capirete dunque l’attesa spasmodica per il suo successivo lungometraggio ossia il qui analizzato Take Point.
Benissimo le attese erano altissime ma ahimè l'opera ha deluso moltissimi addetti ai lavori.
 
Diciamolo subito, il terzo lungometraggio di Kim Byung-woo non è minimamente penetrante e pungente come il suo predecessore inoltre mette in bella mostra tutti i suoi limiti fin dai primi minuti; ad ogni modo il film in esame non merita assolutamente l’oblio a cui è stato relegato anche perché a livello tecnico e stilistico è addirittura superiore a The Terror Live ma andiamo con ordine.
 
Kim Byung-woo non perde tempo e rispolvera gran parte delle tecniche utilizzate in The Terror live ed infatti Take Point inizia in stile mockumentary d’inchiesta laddove si susseguono svariati servizi giornalistici, letteralmente messi in scena stile piano sequenza in carrellata verticale continua, atti ad annunciare le prossime elezioni presidenziali americane con il presidente uscente in forte difficoltà causa politica estera assai nefasta al punto da permettere alla Corea del Nord di imporsi nel settore manifatturiero -grazie a proficue partnership commerciali con la vicina Cina- ai danni proprio degli Stati uniti.
Il leader americano pertanto tenta il tutto per tutto, ossia un’operazione super segreta il cui scopo è rovesciare il governo nord-coreano.
Al termine di questo incipit assai interessante prende avvio il film, tutto ambientato in un bunker sotterraneo nella Demilitarized zone al cui interno troviamo una squadra speciale capitanata dal grandissimo Ha Jung-woo.
Il più grande difetto riguarda la scelta di far recitare il divo prevalentemente in inglese (il suo inglese è simile al mio quindi pessimo) limitando moltissimo il suo talento e consegnandogli tra le mani un ruolo alquanto banale e troppo standardizzato con battute inutili e forzate.
 
Non aiuta poi il cast internazionale, pura carne da macello al contrario il livello si alza sensibilmente quando il divo collabora con la seconda super star Lee Sun-kyun, qui in veste di medico nord-coreano.
 
Un altro difetto è da ritrovare in una sceneggiatura inizialmente assai schematica poi cervellotica con capovolgimenti e complotti mal gestiti; altresì manca quella forte critica sociale presente in The Terror Live tuttavia anche Take Point presenta una frecciatina abbastanza velenosa poiché alla fin fine il film è ambientato nella penisola coreana ma coloro che tirano le fila sono il governo americano e milizie straniere, sempre americane, con la Corea relegata a spettatore non pagante in casa propria (un qualcosa di simile lo rivedremo in Ashfall del duo Kim Byung-seo e Lee Hae-jun).
Bene ora passiamo al fiore all’occhiello del film: le sparatorie.
Kim Byung-woo è senza freni e sfrutta al massimo il buon budget messogli a disposizione dalla produzione regalandoci un action claustrofobico fuori di testa all’insegna di una tecnologia hi-tech militare devastante ed attraente.
 
Kim bombarda le sue immagini riempiendole di schermi tecnologici, droni invisibili e svariate micro-camere alternando validamente e senza soluzione di continuità soggettive meccaniche/tecnologie ad una regia “tradizionale” invasa appunto da oggetti tecnologici che duplicano e triplicano le immagini in scena e poi come se non bastasse la camera è perennemente a spalla, camera traballante che piazza zoomate improvvise e movimenti serpeggianti.
Signori probabilmente vi verrà il mal di testa ma se amate il genere vi posso assicurare che vi sembrerà di trovavrvi a pochi centimetri dall’azione.
 
Ottimo poi il montaggio serratissimo, all’insegna di un amalgamazione tra montaggi incrociati, paralleli e alternati.
A questo punto meriterebbero di essere analizzate tutte le singole sparatorie, sempre disposte con una messa in scena differente (ma all’insegna degli elementi già citati).
Per farla breve la prima sparatoria ad esempio è assai fugace con i protagonisti che assaltano un spazio enorme eliminando alcune guardie nord-coreane e prendendo così in ostaggio soggetti significativi.
 
La scena è super dinamica, estremamente realistica e fulminea laddove slow-motion o virtuosismi particolari non trovano spazio. Di contro la quarta sparatoria è assai diversa, tutta ripresa con diverse soggettive tecnologiche multiple dove le immagini sono pertanto filtrate da micro-camere posizionate nei caschi dei soldati oppure da droni, quasi invisibili, vicinissimi all’azione.
Il regista piazza poi -in una sequenza differente- un flashback onirico d’impatto con il protagonista che si è appena paracadutato e si ritrova in volo a combattere contro un nemico ignoto….
Take Point ha difetti e limiti evidenti ma da un punto di vista action mi ha sorpreso e non poco.
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