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Bird Box

Regia di Susanne Bier vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Bird Box

di alan smithee
6 stelle

NETFLIX

Il mondo sta finendo. Non c'è altra spiegazione, tenuto anche conto che i contorni della tragedia rimangono per tutta la pellicola piuttosto generici e misteriosi, potendone noi, poco meno che i protagonisti, misurarne solo gli effetti dalle conseguenze.

Gli effetti di una catastrofe che ha inizio con un focolare russo, e si propaga rapidamente a macchia d'olio sotto forma di una violenta scia di suicidi singoli, ma su vastissima scala, devasta la popolazione dell'intero globo, decimandola in pochi giorni.

Ne avvertiamo i sintomi, e ne seguiamo l'evolversi drammatico e concitato, attraverso la storia di una pittrice in stato interessante, futura madre single che si trova a gestire l'emergenza in uno stato, fisico e psicologico, di per se stesso di emergenza.

Dopo aver assistito al suicidio in diretta della sorella (l'attrice dal volto inquietante in quanto perennemente proteso al pericolo - Sarah Paulson), che si era prodigata ad accompagnarla ad una visita pre-parto, la nostra Malorie (Sandra Bullock, tenace e battagliera come ci ha da tempo abituata a distinguerla l'attrice) troverà rifugio presso una casa di un burbero, eccentrico superstite (John Malkovich, efficace ma anche manierato oltre ogni necessità), scoprendo assieme agli altri (tra i sopravvissuti, riconosciamo gli attori Jackie Weaver e l'aitante Trevante Rhodes, al fascino del quale finisce pure succube la altrimenti granitica e determinata protagonista) che l'unica possibilità di salvezza da quel virus implacabile e micidiale che si propaga con la vista, è coprirsi gli occhi e non farli venire a contatto con gli spazi aperti.

I superstiti saranno, come da sin abusata tradizione, destinati ad estinguersi uno dopo l'altro: resisteranno solo la protagonista e due bambini, di cui scopriremo anche le generalità, oltre che a un trio di pappagallini, trovati per caso in un negozio ed utili per il riuscire a recepire per tempo il pericolo invisibile che sta decimando l'umanità sul pianeta.

Da qui il titolo del film, opera spudoratamente su commissione della dinamica e a volte tosta regista danese già premio Oscar (per In un mondo migliore - anno 2011) Susanne Bier, che si predispone al meglio a dirigere un film in grado di tener desta l'attenzione, grazie anche ad un accorto dosaggio di flash-back utili ad anticipare i risvolti di una vicenda di cui tuttavia vengono ostinatamente tenute nascoste le dinamiche effettive, e soprattutto le spiegazioni inerenti il perché, il come, e il "da parte di chi".

Non aspettatevi chiarimenti, ma tuffatevi nella vicenda, una storia peraltro tutt'altro che nuova, se si pensa al recente film di John Krasinski (A quiet place - decisamente più riuscito nel suo complesso), o all'interessantissimo, ma assai mal realizzato e recitato film del discontinuo M. Night Shyamalan, "E venne il giorno", datato 2008, anch'esso riferito ad un catastrofico avvento del giudizio tramite una inarrestabile catena di suicidi di massa. Per non parlare del contemporaneo The Silence di John R. Leonetti, pure lui una produzione "made in Netflix", che piazzerei allo stesso livello medio di sufficienza del presente film.

Il ritmo c'è, la performance da action woman che sarebbe stata nelle corde di una Sigourney Weaver anni '90 pure ( e con la Weaver, il personaggio di madre-chioccia ma anche guerriera condivide lo status della Ripley di tutta la saga Alien, ma soprattutto del cult Aliens), e la Bullock, faccia da anni impietrita probabilmente a causa di ripetuti lifting, se la cava col resto del fisico, sfoderando una padronanza con lo sforzo fisico, che ci fa tornare in mente - anche per la connotazione del contesto - la Meryl Streep di The River Wild (1994).

Non finiremmo più, a forza di citazioni, a maggior scapito di un film tutt'altro che memorabile, ma che si lascia guardare da cima a fondo con la prevedibilità degli eventi su cui in fondo ci piace poter contare, e quel vago senso di disagio ed insoddisfazione che l'abituale finale senza nerbo arreca a pellicole commerciali del genere.

 

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