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The Spy Gone North

Regia di Jong-bin Yun vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su The Spy Gone North

di alan smithee
6 stelle

FESTIVAL DI CANNES 2018 - FUORI CONCORSO / CINEMA OLTRECONFINE
Ad inizi anni '90, un dinamico ex ufficiale di Marina sud coreano, viene riciclato dall'Intelligence del paese, e riconvertito a spia, impegnato a osservare e cercare indizi concreti inerenti il programma di armamento nucleare della vicina ed acerrima nemica Corea del Nord.
Assunto il nome in codice di Black Venus, l'uomo tenterà di infiltrarsi sempre più addentro, a partire dalla base pechinese, sino ad inoltrarsi nel cuore di Pyongyang, trattare col dittatore supremo, rischiando tuttavia di venir risucchiato dal vortice che il suo stesso paese ha organizzato per sventare i piani di conquista del suo pericoloso vicino comunista.

Dal regista tosto già a me noto per il riuscito Nameless Gangster visto al TFF 2012 - Jong-bin Yun, The spy gone North riprende i cliché classici dello spy-movie e di un filone letterario fortunato alla John Le carré: un tipo di cinema che, a dire il vero, non mi convince pienamente, né mi riesce facile comprendere, anche quando portato avanti da maestri assoluti come Alfred Hitchcock (Topaz), Henry-Georges Clouzot (Le spie);  figurarsi con opere decisamente più "medie" in stile La Casa Russia, Il Quarto protocollo, o il più recente La Talpa, tanto per citarne qualche esempio noto: cinema impegnato, accurato, che sviluppa tuttavia un intrigo che fatico a far mio in modo viscerale.

La stessa cosa può dirsi per questo concitato e ben diretto film coreano di Jong-bin Yun, forte di una star di prima grandezza, incontrato di persona quest'anno al Far East Festival di Udine ove presentò con successo il suo ultimo colossal, il coinvolgente The battleship Island: Jung-Min Hwang. Attore versatile e brillante, affascinante e scanzonato, in grado di reggere da solo le redini di un film che presenta molti altri personaggi di contorno, ed una vicenda piuttosto articolata e complessa in cui a volte risulta piuttosto complicato riuscire a non perdere il filo. 
La caduta del muro di Berlino, la fine della Guerra Fredda, hanno in qualche modo un po' ostacolato il persistere di un genere cinematografico come quello spionistico. Apprezzabile ed inevitabile quindi trasferirsi altrove, in luoghi e circostanze un cui tali argomentazioni possono ancora trovare terreno fertile.

E nel contrasto acceso ormai pluri-decennale tra le due Coree, tutto ciò è assolutamente possibile, o lo è stato lungo un recente passato che pare ormai volgere al tramonto pure lui dopo gli accordi di pace dell'aprile scorso tra le due potenze confinanti e rivali, portavoce ognuna di un sistema politico-economico diametralmente e fieramente opposto.
Il film svela poco per volta tutte le sue carte, i loschi inganni e le trame che ne fanno una sorta di nuovo Joint Security Area (dal noto film di Park Chan-Wook del 2000), tecnicamente impeccabile, ma, ammettiamolo, non proprio un film irrinunciabile destinato a restare indelebile nella memoria di uno che vede molti film.
 
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