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Cléo

Regia di Eva Cools vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Cléo

di alan smithee
4 stelle

FESTA DEL CINEMA DI ROMA - ALICE NELLA CITTA' - CONCORSO - OPERA PRIMA - PREMIO MYMOVIES

Cleo ha diciassette anni e vive, assieme al fratellino, con la amorevole nonna, dopo essere stata l'unica superstite in un tremendo incidente stradale in cui hanno perso la vita entrambi i genitori: circostanza dalla quale la ragazza non si è mai veramente ripresa, sconvolta dai sensi di colpa nel sentirsi parte in causa dell'aver portato i genitori verso quel tragitto risultato poi letale.

Il padre era un famoso musicista, dal quale Cleo ha ereditato la spiccata dote di pianista che le consentirebbe di mettersi in evidenza come giovane promessa. Ma Cleo preferisce rifugiarsi verso vite notturne poco opportune per una giovane della sua età. Un giorno incontra un misterioso uomo in un bar e ne rimane affascinata nonostante questi abbia oltre dieci anni più di lei.

Nel frequentarsi, in capo al ragazzo - un tipo irrisolto e pure lui devastato da una crisi maturata a causa di precise e gravi circostanze di vita - emergeranno particolari inquietanti che confermeranno come il caso fortuito può giocare strani scherzi nel tracciare già tortuosi e complicati percorsi di vita.

L'esordio nel lungometraggio di Eva Coos sfrutta tutti gli appigli del caso o dell'azzardo per riuscire a far breccia sulla sensibilità dello spettatore. Una scelta scaltra ma ben congeniata, perché il film ha dalla sua la qualità di farsi seguire piuttosto bene e di riuscire a dimostrarsi anche piuttosto avvincente nell'escalation (sin un po' troppo forzata) dei suoi eventi.

Non mi è sembrata particolarmente convincente la costruzione del personaggio della giovane cupa protagonista, un po' troppo forzatamente dannato e condannato, succube di un incastro assurdo in cui il caso gioca un ruolo troppo fondamentale e forzato nell'ambito del risvolto chiave su cui poggia la vicenda.

La regista tenta la via "kieslowskiana" alla "Film Blu" di parlarci di vita e di morte, accentuando o provando ad accentuare il pathos con l'intervento un po' invasivo delle musiche di Rachmaninov, e soggiogando la vicenda addentro ad un contesto scenografico tenebroso e suadente che pare un po' troppo forzato e costruito artificialmente addentro ad una Bruxelles livida e fredda come una pietra tombale.

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