Folletto dionisiaco della musica, colmo di talento fino alle orecchie, Freddie Mercury era destinato fin dagli esordi sul palcoscenico a entrare nella leggenda e a diventare immortale. Non era facile portare sullo schermo un personaggio tanto forte e ingombrante, senza distanziarsi troppo dal vero e ridurre il genio a una macchietta. Bryan Singer (peraltro licenziato a pochi mesi dalla fine delle riprese e sostituito da Dexter Fletcher), Brian May e Roger Taylor nella veste di produttori esecutivi, affrontano la sfida rappresentando Freddie soprattutto come un uomo, costretto a rinunciare a Mary, l’amore della vita, per via della sua bisessualità, e lasciando gli stravizi del cantante e le feste orgiastiche sullo sfondo. Per il resto, colpiscono la recitazione dell’attore Rami Malek, molto somigliante nel riportare mimica e gesti, e ovviamente le canzoni dei Queen, inserite sempre al punto giusto, ad alimentare emozioni e sentimenti. Si legge che le licenze poetiche nel romanzare la trama siano state troppe: ad esempio, praticamente inventati molti conflitti all’interno della Band, nella realtà inesistenti, e dunque messi in scena per creare del pathos o altre ragioni. Se si vuole sorvolare su questi “difetti” il film cattura, colpisce e persino commuove; si può vedere come un bell’omaggio a uno dei più grandi artisti del ‘900. Alla fine il pubblico in sala ha applaudito: poco importa se al film o al mitico Freddie.
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