In Room 999 di Lubna Playoust, aggiornamento al 2022 di Chambre 666 (1982) di Wim Wenders, in cui il regista tedesco chiedeva a vari colleghi (da Fassbinder a Godard) opinioni sul futuro del cinema, una sfilza di registi, giovani e meno giovani, si dimostra spaventato e preoccupato dell’avvento delle nuove tecnologie (dai servizi streaming all’intelligenza artificiale) e del loro impatto sull’arte cinematografica. Tutti paventano una fine dell’arte visiva per eccellenza e un depauperamento della creatività umana e delle sue possibilità di realizzarsi. Tutti, tranne uno: David Cronenberg. Sembra che l’intero mondo dell’arte sia diventato misoneista e tecnofobico, tranne il regista canadese padre del body horror.
Cronenberg, anche lui solo in una camera d’albergo, davanti a un obiettivo di ripresa, fa spallucce: se le nuove tecnologie uccideranno il vecchio modo di fare cinema, vorrà dire che lo si farà in un nuovo modo, o non lo si farà affatto e lo sostituiremo con altro. In fondo che importa? Ci esprimeremo altrove e con altri mezzi. A chi conosca il suo cinema non può certo apparire paradossale questa affermazione. Troppo spesso decantato come colui che ha mostrato il volto orrorifico della modernità Cronenberg è anche un profondo pragmatista: non si torna indietro, ci si adatta e si accetta la malattia della carne, la mutazione, facendola diventare un nuovo stadio dell’umanità (si pensi alla Mosca e non solo, su questo più programmatico e meno “cervellotico” di Videodrome): se poi questo stadio implica il fondere della carne con la tecnica, l’amplesso terminale tra organico e inorganico (come mostrava già Tsukamoto, il suo allievo cyberpunk), poco cambia.

Il finale di Crimes of the Future, vero manifesto teorico definitivo del cinema cronenberghiano e silloge delle riflessioni estetiche e sociologiche del body horror tutto, mostra chiaramente e limpidamente l’approccio autenticamente “modernista” e “integrato” del regista (per riprendere l’endiadi con “apocalittici” proposta da Umberto Eco in tempi non così sospetti).
Saul Tenser (Viggo Mortensen), body artist che in un futuro distopico (?), e aiutato dall’assistente/amante Caprice (Lea Seydoux), apporta continue modifiche al suo corpo esibendole come segno artistico, estetico, tangibile della mutazione in corso, innalzando il tumore ad arte (elevazione della malattia che neanche Seth Brundle avrebbe potuto immaginare), è stato coinvolto in una cospirazione internazionale e ha scoperto l’esistenza di esseri umani che digeriscono la plastica, essendosi evoluti in modo da sopravvivere su un pianeta ormai irrimediabilmente inquinato.

Saul, che per tutto il film ha sofferto per i suoi organi in continua crescita e per la difficoltà a nutrirsi normalmente, decide di fare il passo decisivo. Mentre è seduto su una delle macchine biomeccaniche che lo assistono nella digestione, Caprice gli porge una tavoletta di cioccolato, che in realtà è fatta di plastica, in particolare un tipo di polimero sintetico.

Saul la guarda, esita, poi la addenta. Mentre mastica, una lacrima scende dal suo occhio, ma non è una lacrima di dolore. È piuttosto una lacrima di epifania e accettazione. La sua bocca si contrae in un accenno di sorriso, e la sedia biomeccanica, che fino a quel momento aveva vibrato e emesso cigolii e squittii, si ferma, indicando che il suo sistema digestivo interno è finalmente in armonia con ciò che sta consumando.

Lo sguardo di Saul è estatico, come fosse illuminato da una luce divina. Ma nell’ultimo frame è anche in bianco e nero: perché vediamo l’immagine dal punto di vista della mini-camera di Caprice che riprende anche questo ultimo atto di digestione, perché tutto è performance, tutto è testimonianza, specie le mutazioni delle carne.

Come nel finale di Videodrome, vediamo la definitiva mutazione attraverso un altro schermo, a ricordarci l’inseparabilità tra “vita vera” (o meglio “schermo non percepito”, quello che ci dimentichiamo esistere mentre guardiamo un film) e sua rappresentazione (lo schermo che impugniamo per filtrare questa realtà). La totale e epifanica accettazione della mutazione di Saul, e l’impossibilità di viverla fuori da uno schermo, non è certo un finale pessimista o anti-moderno, ma l’apoteosi della filosofia tanatologica e anti-luddista di Cronenberg, che per (apparente) paradosso diventa inno di resistenza e sopravvivenza, coi nuovi mezzi che la natura fornisce (o la tecnica, poco importa, dato che sono inseparabili). Malattie cancerose, fusioni con il metallo e altre analoghe mutazioni sono nuovi inesplorati ventagli di possibilità, del quale non bisogna aver paura, perché essere umani significa evolversi. Non necessariamente in altri umani.
Il film
Crimes of the Future
Fantascienza - Canada, Grecia, Francia 2022 - durata 107’
Titolo originale: Crimes of the Future
Regia: David Cronenberg
Con Kristen Stewart, Viggo Mortensen, Léa Seydoux, Scott Speedman, Tanaya Beatty, Lihi Kornowski
Al cinema: Uscita in Italia il 24/08/2022
in streaming: su Timvision Apple TV Rakuten TV Google Play Movies Amazon Video Rai Play
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