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Fargo

5 stagioni - 51 episodi vedi scheda serie

Recensione

Stagione 3

  • 2017-2017
  • 10 episodi

L'autore

Immorale

Immorale

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La recensione su Fargo

di Immorale
10 stelle

La stasi del male.

L’espansione dell’universo Fargo continua imperterrita: fagocita la struttura narrativa e si erge a trascendere, con decisione, il “recinto” crime.

 

 

Destro e estro(so), senza dimenticare la perfezione degli incastri e l’aggancio con le precedenti stagioni, fils-rouge progettuali, che videro comparire la versione giovan(il)e dello sceriffo Solverson nella 2^ stagione e l’angelo vendicatore Mr. Wrench in questa 3^, entrambi direttamente dall’annata introduttiva del 2014; quest’ultimo ripescato in un numero limitato di episodi (solamente 3) ma elemento cardine del “fine” ultimo della stagione. La direttiva madre di tutto il progetto è comunque il richiamo, particolare e/o generalizzato, ad un “web” ideale citazionista, un mondo innevato nei contorni ma non immacolato nelle interiora, la cui integrità è grottescamente difesa da “paladini” quasi senza macchia e senza paura, non nel senso tradizionale del termine, spesso solitari e incompresi, invisibili o non percepiti ma incrollabili nella loro resilienza/resistenza al caos imperante.

 

 

La provincia genera mostri, quella americana del “mid-north” subisce anch’essa l’assalto di organizzazioni criminali evolute, non più solamente (tradizionalmente) violente ma composte da squali finanziari incredibilmente feroci (la fattura o(e) la vita !), conversione già preannunciata nel finale di 2^ stagione con la beffarda promozione dello scagnozzo Mike Milligan. Che piombano inaspettate sulle “normali” beghe ereditarie tra fratelli, negli atavici silenzi familiari ed a sconvolgere l’abituale tran-tran della locale stazione di Polizia.

Pesce grande in stagno piccolo, quindi, e onde centrifughe che fratturano le acque circostanti.

 

 

E quale migliore rappresentante di questa incapienza se non la perfetta figura malefica di V.M. Varga, disturbante all’eccesso, incredibilmente rappresentata dal bravo David Thewlis. Un antagonista non canonico ma incessantemente vorace nel suo cinismo criminale. Gli altri interpreti non sono da meno, dalla nervosa e tenace Carrie Coon al “doppio” Ewan McGregor, dalla sbarazzina Mary Elizabeth Winstead al “povero” Michael Stuhlbarg. Nel perfetto ed ormai rodato “quadro” registico e sceneggiativo costruitigli attorno dalle mani (sapienti) di un nugolo di rodati registi televisivi (Keith Gordon, Michael Uppendhal etc) e scrittori (Noah Hawley and Co.).

 

 

Che toccano l’apice, per chi scrive nel 3° episodio (“The law of non-contradiction”) e nell’ottavo (“Who rules the Land of Denial ?”), quest’ultimo geniale nel contraddire la linearità del racconto, sconvolgendolo e riconducendolo ad una provvidenziale breve fuga in un mondo lebowskiano, dominato dal (in)fallibile demiurgo Ray Wise.

 

 

Un universo al collasso, con la sola flebile speranza di un sorriso accennato.

 

 

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