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Napoleon e la (falsa) storicità al cinema: quanto deve essere accurato un film?
di AndreaMarciano
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C'è un momento abbastanza ignorato da chiunque, che sostanzialmente riesce a riassumere in due/tre semplici inquadrature la sostanza di fondo del Napoleon di Ridley Scott: il condottiero (monumentale, come l'attore che lo interpreta) è su una carrozza diretta a Parigi, sta tornando da sua moglie Giuseppina dopo aver abbandonato l'ennesima campagna, intorno al mezzo si raduna una folla che lo acclama e lo saluta; lui tiene in mano un giornaletto satirico: sulla prima pagina compare la moglie in un letto a baldacchino che giace insieme a un altro uomo, un piccolo Napoleone invece riaffiora da sotto il letto, e li guarda sgomento.

 

In quella raffigurazione satirica, Napoleone è racchiuso in un corpo mingherlino, il naso adunco e il petit chapeau vengono accentuati, come elementi di distinzione. Non il Napoleone fiero, impettito, a cavallo del suo famoso bianco destriero. Non il Napoleone stratega, nemmeno l'uomo vigoroso. Solo, il ritratto di un tozzo e infimo figuro, un freddo calcolatore che scopa (letteralmente) come un coniglio, e che, verde di gelosia, non può fare a mano di rinunciare al proprio premio, alla propria semplice consolazione. 

Ridley Scott, irriverente, come sempre fuori dal tempo, non ha mai pensato al suo condottiero come una questione storica. Non è Bondarchuk (ma basta vedere la sua filmografia per rendersene conto), non mira al fatto puramente storico, cerca la narrazione oltrepassando il limite della concretezza, anche psicologica introiettiva. Napoleon è così il ritratto parodistico di un dittatore, un entità astratta da quadretto politico, un pamplhet da commedia dell'arte che emana il sincero tentativo di andare oltre il racconto biografico.

 

«Storici, voi non c'eravate» è d'altronde la provocante risposta del regista alle numerosissime critiche sopraggiunte. L'accusa graffiante e, a primo acchito, impulsiva di Ridley Scott, suona quanto una bestemmia per chiunque si dedichi allo studio della Storia (è un po' come se un cinefilo si sentisse dire: «Fatti meno problemi, è solo un film»). Resta, tuttavia, a una seconda riflessione, qualcosa di più sottile: Non c'eravamo, come in fondo non c'erano gli storici e neanche Scott stesso; Napoleone appartiene così alla Storia, e anche al popolo, alle credenze, alle suggestioni, in breve: al mito. Di lui rimangono le testimonianze e i pettegolezzi, proprio quelli che Joaquin Phoenix legge mentre torna a Parigi. Il mito (che è ben diverso dalla mitologia) è più vicino alla narrazione cinematografica dell'accuratezza storica; un film è prettamente un racconto per immagini in stricto sensu e anche in lato sensu. Che quindi non rispecchi la storia, il personaggio peggio o meglio approfondito, non è un delitto, né tanto meno il vero problema del film. Invece, degli storici scontenti a cui è dato fastidio il fatto di trovarsi di fronte a un blockbuster "soapoperizzato" piuttosto che a un Epica, dice molto di quello che è diventato oggi il cinema, e della sua domanda ricorrente tra il pubblico di raccontare la Storia piuttosto che le storie. Non la realtà oggettiva, il cinema deve saper raccontare quella obiettiva, la sola e unica verità fatta a immagini.

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