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Domani è la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne 2022. Come per altri tipi di reati, anche le violenze contro le donne, purtroppo, non si risolvono con un decreto o con una legge. Questo serve ex-post (vale a dire per punire) ma arrivano spesso in ritardo, quando purtroppo la violenza fisica o psicologica è già avvenuta. Occorre quindi intervenire, anche in questo caso, sotto un profilo culturale, un corredo di valori, ideali, atteggiamenti, che devono essere trasmessi a tutti, sin dalle generazioni più piccole. Certamente è una soluzione che richiedere tempo e pazienza, ma a questo punto è l’unica strada percorribile.

 

D’altronde i numeri parlano chiaro. Purtroppo. In questi ultimi giorni, su L’Espresso, sono stati pubblicati articoli che riportano numeri e contenuti che devono far preoccupare e che intristiscono. La Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne è stata istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999. Più di vent’anni fa. E in vent’anni nulla è migliorato. Sotto un profilo culturale non ci sono stati passi avanti, nelle società odierne continua, invisibile ma doloroso, a circolare un virus composto da ipocrisia e stereotipi [in psicologia, lo stereotipo è una qualsiasi opinione rigidamente precostituita e generalizzata, cioè non acquisita sulla base di un'esperienza diretta e che prescinde dalla valutazione dei singoli casi, su persone o gruppi sociali].

 

Dal 1999. In vent’anni non siamo riusciti a sensibilizzare, non siamo riusciti a de-stereotipare l’immagine della donna. E in questo siamo tutti colpevoli. Anche il nostro amato cinema è colpevole. Uno dei suoi compiti fondamentali è trasmettere cultura, far aprire gli occhi, far vedere preventivamente le conseguenze negative e drammatiche di azioni e gesta. Proprio nei giorni scorsi anche Giuseppe Battiston ha evidenziato lo straordinario potere che potrebbe avere il cinema “Il cinema può cambiare i pensieri della gente, come un romanzo o una sinfonia”. Purtroppo, aggiungo io, questo non è avvenuto. Anzi, è avvenuto l’esatto contrario. Il cinema nella sua globalità, in pellicole apparentemente innocue, ha contribuito a diffondere il virus degli stereotipi e di una società statica e culturalmente bloccata. Non sono solo sufficienti pellicole a tema per sensibilizzare. Perché queste pellicole verrebbero viste solamente da chi è già sensibile a una certa tematica. La produzione cinematografica nel suo complesso deve, in modo silenzioso, quasi senza farsene accorgere, sensibilizzare. Mostrando modelli di rispetto, di vera uguaglianza e abolendo quegli stereotipi silenziosi ma pungenti.

 

Gli articoli de L’Espresso che citavo poco sopra (dovrebbero) smuovere le coscienze di tutti e si commentano da soli. Perciò mi limiterò solamente a riportare qualche numero e qualche frase senza commentare, come in una sorta di post muto, di silenzio laico e di protesta silenziosa.

 

 

“Angeli del focolare e dedite alla cura: così il cinema e la tv raccontano le donne” articolo di Silvia Andreozzi

[Nel report curato dall’Osservatorio per la parità di genere del ministero della Cultura, emerge un quadro «drammatico» della visione del ruolo femminile portata avanti dal mondo della cultura, a cominciare dal settore audiovisivo. Sottostimate, sottorappresentate, misconosciute. La condizione delle donne nel mondo della cultura e, in particolare, dello spettacolo è quella che tutti si aspetterebbero. «I dati confermano i timori che potevano esserci e, in alcuni casi, rendono quei timori drammatici. Sono impietosi, è quasi imbarazzante raccontarli». Nicola Borrelli, direttore della Dg Cinema e audiovisivo, commenta in questo modo i risultati del lavoro portato avanti in un anno dall’Osservatorio per la parità di genere del ministero della Cultura coordinato da Celeste Costantino. Nel report dal titolo “La questione di genere tra immaginario e realtà” si possono leggere, rese in forma di percentuali, tutte le storture di una società che lega le donne a luoghi comuni, riducendole a stereotipi che vengono veicolati anche attraverso la rappresentazione che di loro viene resa nel cinema, nella televisione, nell’arte. Succede così che la donna sullo schermo è spesso, molto più degli uomini, una figura legata alla cura della casa e della persona (85.2 per cento di donne contro il 14.8 per cento di uomini), raccontata solo attraverso il suo ruolo familiare (65 per cento di donne contro il 34.9 per cento di uomini) o rappresentata in ambiti di assistenza psicologica e sociale (61.7 per cento di donne contro il 38.3 per cento di uomini).]

 

“Cambiamo visuale: guardiamo all’uomo per liberare le donne, dall’immaginario e nella realtà” articolo di Celeste Costantino

Da una parte ci sono gli stereotipi “benevoli” e apparentemente innocui, quelli ormai più vicini ai proverbi che ai giudizi ragionati, quelli che danno una visione delle donne come esseri indifesi, da proteggere e tutelare (“la donna non si tocca neanche con un fiore”, “la donna è l’angelo del focolare”) e gli stereotipi “simpatici” che vogliono ironizzare sull’incapacità delle donne (“donna al volante pericolo costante”). Ci sono poi gli stereotipi “ostili”, quelli che dichiarano apertamente l’inferiorità della donna ritenuta sostanzialmente un oggetto (“donne e buoi dei paesi tuoi”) o un essere malvagio (chi dice donna dice danno”) o quelli che valorizzano le donne solo se nel confronto con uomo (“è una donna con le palle”). [….] Nessuno oggi infatti sosterrebbe apertamente che è giusto uccidere una donna che ha tradito il marito ma… Quel “ma” è il sintomo di un irrisolto, il segno che nella nostra società è ancora presente l’idea di proprietà della vita delle donne. Vale per la violenza domestica, vale per lo stupro e per il cosiddetto revenge porn. Perché la verità è che la violenza sulle donne non è un luogo comune, ma nello stesso tempo lo è. E questa campagna racconta di un 25 novembre che sia di Liberazione per le donne. Dall’immaginario e nella realtà.

 

“Da “l’uomo è cacciatore” a “donna-danno”. La violenza dei luoghi comuni” articolo di Simone Alliva

Nella pubblica opinione, sui media e perfino sulle sentenze: gli stereotipi contribuiscono a una narrazione molesta. Espressioni apparentemente benevole e altre decisamente pericolose riaffermano maschilismo e patriarcato. […] La lingua indirizza il modo di pensare. Modi di dire come «chi dice donna dice danno», riverberano una visione patriarcale spiega Giulia Minoli, presidente di Cco: «In Italia il 67 per cento delle donne si occupa della cura della casa, il 37 per cento non ha un conto corrente intestato, una donna su due non ha lavoro, ogni tre giorni un femminicidio. Nel 2022 sono state uccise 77 donne. Il dato è drammatico, il momento è difficile ma la crisi è opportunità. Ci mette alla prova. Noi ci siamo»

 

 

 

 

 

 

 

Post pubblicato anche su https://cinecorrendo.altervista.org

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