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Festa del cinema di Roma, Incontri ravvicinati, Manetti Bros
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Una volta seduto in sala mi sono reso conto che dei Manetti Bros non avevo mai visto niente, i due fratelli, chiamati MarcAntonio da Alberto Crespi, come fossero una sola entità, mi sono sembrati simpatici, mentre raccontavano i loro esordi (un paio di cortometraggi) e poi continuando con piccoli aneddoti e storie sulle altre  pellicole che hanno realizzato nel corso degli anni. Hanno cercato di ribadire più volte, durante l’incontro, il loro costante desiderio di essere liberi nel lavoro che fanno, sia sul piano produttivo che su quello registico, con Antonio che si occupa della camera a mano mentre Marco si da più da fare con gli attori e il set. I due discutono, a volte, senza però mai entrare in competizione, l’alchimia di sangue è quindi la ragione per cui un lavoro al singolare, come quello del regista, si può fare in due solo quando si è fratelli, per questo, secondo Marco, nel cinema le sole coppie che lavorano bene insieme provengono dalla stessa famiglia (sia fatta eccezione per Powell&Presseburger, suggerisce un critico seduto poco vicino). Ecco, se sul piano del mestiere i Bros mi sono sembrati abbastanza sinceri nel raccontare le loro esperienze su quello culturale, mentre rivelavano registi amati e influenze, sono apparsi abbastanza farlocchi. Hitchcock dovrebbe essere il loro maestro, il lume tutelare al quale rivolgersi quando non si sa dove posizionare la camera, può anche essere ma i due registi romani non hanno parlato di un solo film che fosse uno o di una sola sequenza girata da Sir Alfred che li abbia segnati, la passione per cinema di serie B (o di genere) italiano, invece, pare che gli sia stata appiccicata addosso più  da alcune collaborazioni (Piotta, Giusti) senza che loro ne fossero veramente aficionados (anche se nelle clip mostrate, durante  l’incontro, sembravano più questi film i referenti primari del loro cinema che quelli di Mr H.). Poi hanno parlato di aver visto molti musical per la preparazione di Ammore e malavita, anche se il solo titolo uscito fuori è stato Grease, senza poi riuscire ad andare oltre alla semplice constatazione che nel cinema italiano i film musicali erano basicamente film normali con delle canzoni attaccate qui e là, mentre loro hanno cercato di dare alla musica un valore narrativo facendola entrare a far parte direttamente dell’evoluzione della storia. Vabbè. Alla fine è stata mostrata una clip da Diabolik, in uscita a metà dicembre, che mi ha lasciato francamente stupito e decisamente interessato a vedere il resto. Grandi applausi in sala. 

I Manetti Bros sono molto modesti e lo ammettono e parlano di cinema più che altro come un lavoro, con tutti i suoi problemi e le sue sfide, le necessità quotidiane (il cibo, l’organizzazione del set, le riprese) e tentando di non andare oltre alle loro possibilità. O a quelle che in passato altri gli hanno imposto. Di sicuro rimanere liberi in ciò che si vuole fare nella vita a me sembra già sufficiente per essere fieri di sé stessi. E in questo caso del proprio lavoro. E quindi dei propri film.

 

 

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