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In principio era Batman... di Tim Burton
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Quand’ero bambino, per me, esisteva soltanto un supereroe al cinema, di cui potevo ammirare le mirabolanti imprese anche sul piccolo schermo grazie al magico videoregistratore del salotto, che s’inceppava ogni tre per due danneggiando irreparabilmente preziosissime bobine: Batman, l’unico, inimitabile uomo pipistrello che si avvolge nel mantello. Rapidissimo. Furbissimo. Giustissimo.

E se la serie-capolavoro a disegni animati (1992-1995), ideata da Bruce Timm, ha cresciuto una generazione di piccoli fan del vigilante di Gotham (eroe dark, riuscito trait d’union tra Superman, Zorro e l’Uomo mascherato), i più cinefili tra questi impuberi appassionati non si limitavano alla fruizione di un cartone animato (che brutta parola), ma conoscevano a menadito anche i film del loro eroe preferito. Poco importava allora che fossero i due preziosi gioielli di Tim Burton, Batman (1989) e Batman Returns (1992), o le due ciofeche di Joel Schumacher, Batman Forever (1995) e Batman & Robin (1997), dio ce ne scampi: c’erano pregevoli supercattivi, combattimenti folgoranti e battute arrembanti. Al tempo bastava.

Poi arrivò l’adolescenza, Woody Allen e il cinema italiano dell’orrore, Alien e Blade Runner, John Carpenter, Sergio Leone e Walter Hill. Insomma, i gusti si muovono e i pipistrelli si ritrovano chiusi in un baule come i giocattoli dimenticati di Toy Story. Eppure qualcosa resta e si scopre col tempo che non tutto era solo un gioco: non mi ci volle molto a capire che i due Batman di Burton erano molto più che dei cinefumetti. Non perché i cinefumetti non abbiano dignità, ma perché i due film in questione sono intrisi della visione poetica e radicale del loro autore (e sono certamente, per inciso, i due film di supereroi più belli mai realizzati).

Sono sicuro che se a quattordici anni ho amato La maschera del demonio e I tre volti della paura lo devo anche a quei film dell’infanzia: cupi, morbosi e violenti oltre ogni limite oggi consentito a un blockbuster pensato per un pubblico di ragazzi. Grazie a loro, anche se ancora non lo sapevo, il mio sguardo era in qualche modo già addomesticato all’orrore e alla comprensione della diversità.

Solo all’apparenza, infatti, Bruce Wayne/Batman (indimenticabile Michael Keaton dallo sguardo straniato) è il personaggio principale di quelle pellicole: i veri protagonisti sono i cosiddetti ‘cattivi’ (i migliori supercattivi di sempre e non se ne nominino altri: non c’è storia), i magnifici freaks interpretati da attori da storia del cinema (il “Joker” Jack Nicholson, il “Pinguino” Danny DeVito e la “Catwoman” Michelle Pfeiffer), la cui dolente umanità li rende così simili a noi.

Le loro azioni sono spietate, s’intende, le loro perversioni innominabili, le loro psicopatologie fortunatamente rare, ma quanta poesia nel raccontarli? Quanto amore nel delineare i loro caratteri e le loro azioni? La storia del Pinguino ci viene mostrata come fosse quella di un novello Edward mani di forbice (1990), con quella culla gettata al di là della spalletta di un ponte da Pee-wee Herman, simbolo di un abbandono e di una genitorialità biologica tradita. Per non parlare del Joker, descritto come uno spietato Frankenstein della malavita (un po’ creatura un po’ inventore folle) con estro iconoclasta, o della non-morta Catwoman, in tuta sadomaso con cuciture bene in vista, labbra rosse e bulimica mangiatrice di innocui pappagallini.

Insomma, Tim Burton – anche quando gira un cinefumetto – resta sempre fedele alla sua poetica e racconta l’universo di Gotham City attraverso lo sguardo inquieto dei perdenti, di quelli che per l’omologata e noiosa maggioranza diventano i ‘malvagi’. Ci insegna a capirli e ad amarli: c’è qualcosa di più educativo?

E allora – riguardando da adulti i Batman di Burton – che cosa resta del giustiziere in maschera di cui ci eravamo innamorati da piccoli, reazionario protettore di quella maggioranza discriminante? Rimane un uomo travestito da pipistrello, non meno folle dei mostri che giura di combattere. Ma, dopotutto, ormai comprendiamo meglio pure lui: adulto rimasto bloccato allo stadio infantile a causa di un trauma subito, che vive da solo col suo maggiordomo in un grande maniero. Il resto è cinema, ingenua illusione dell’infanzia.

 

Michael Keaton

Batman (1989): Michael Keaton

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