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NATIONAL TREASURE – La gogna mediatica
di Andrea Fornasiero
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Iniziata sotto la guida della polizia di Londra nel 2012, ma divenuta presto un caso nazionale, l’Operazione Yewtree portò a vari arresti che nel 2015 arrivarono a quota 19 persone. Tra di loro diverse personalità dello spettacolo furono accusate di aver compiuto abusi sessuali, in alcuni casi su minori. Sei di questi arresti divennero condanne tra cui la più celebre fu quello di Jimmy Savile, molto noto al pubblico inglese.

L’elemento drammatico che National Treasure riprende da questo caso di cronaca è però legato soprattutto ai media: l’indagine ha infatti generato un dibattito pubblico sulle procedure di polizia e sui diritti degli accusati che, per stimolare le vittime a venire alla luce, venivano dati in pasto ai mezzi di informazione, distruggendo dunque la vita anche di è poi stato giudicato innocente. Tanto che molti hanno parlato di caccia alle streghe e critiche sono arrivate anche da Terry Gilliam e Stephen Fry, oltre che da avvocati esperti in diritti umani disgustati dai lunghi tempi dell’indagine in contrasto con gli attacchi rapidi e feroci sui media. Oltretutto il principale accusato, il già citato Savile, è morto prima di poter essere condannato per i suoi reati. Per affrontare questa complessa materia in Tv, Jack Thorne e Channel 4 hanno scelto di creare un caso fittizio.

Gli autori di National Treasure

Jack Thorne, classe 1978, è ormai un astro della drammaturgia inglese, oltre che in Tv è infatti molto prolifico a teatro, dove sta attualmente riscuotendo enorme successo con il doppio spettacolo Harry Potter and the Cursed Child (che ha fatto per altro molto discutere per la scelta di un’attrice nera nel ruolo di Hermione). In Tv scrive diversi episodi di Skins ed è poi coautore di una serie che fa discutere, Cast Offs, in cui si inscena un fittizio reality simile a Survivor ma con protagonisti disabili. Quindi Throne collabora con Shane Meadows alla scrittura dei seguiti televisivi di This Is England e nel mentre è autore di The Fades, serie apocalittica ambientata in una high-school che vince il BAFTA come miglior drama nel 2012. Nel 2014 è showrunner e ideatore del notevole Glue, un noir rurale con protagonisti millennials, in Italia presentato in concorso al RomaFictionFest del 2015. Nel 2014 scrive anche l’adattamento cinematografico di Non buttiamoci giù e il film War Book di Tom Harper mentre l’anno successivo sceneggia il Tv Movie BBC Don’t Take My Baby, su una coppia gravemente disabile che lotta con i servizi sociali per tenere la custodia del proprio neonato. Il suo profilo si fa internazionale con la serie The Last Panthers coprodotta tra Sky e Canal+, e arriva quindi a National Treasure, ma è già al lavoro su diversi altri progetti: il film dal fumetto Sandman di Neil Gaiman, il film Wonder con Julia Roberts e Owen Wilson, un episodio della serie antologica di Channel 4 Electric Dreams: The World of Philip K Dick e l’ambizione trasposizione televisiva della pluripremiata trilogia fantasy di Philip Pullman Queste oscure materie.

Una carriera impressionante che giustifica come Channel 4, la più coraggiosa delle Tv inglesi, si sia fidata di lui per un progetto difficilissimo quale è National Treasure. Per la miniserie in quattro parti, il canale ha riassemblato il team di Utopia con il regista Marc Munden, il direttore della fotografia Ole Bratt Birkeland, il montatore Luke Dunkley e il musicista Cristobal Tapia de Veer, che firma uno score ancora una volta elettronico ma più strisciante rispetto all'irruenza di Utopia, .

L'estetica di National Treasure

Tra le produzioni inglesi più raffinate di quest’anno, National Treasure non si segnala solo per la rilevanza e la controversia del tema, e tutto il pedigree autoriale sopra elencato realizza qualcosa di davvero memorabile, tutto sul filo di un’ambiguità pervasiva e oppressiva, perché il dubbio in questo caso è davvero insostenibile. Munden e Birkeland lavorano sulla distanza con campi lunghissimi e primi piani molto ravvicinati, lasciano spesso largo spazio alle ombre e tengono persino soggetti parlanti in fuori fuoco.

Regista e direttore della fotografia scelgono per la serie in una gamma cromatica molto ampia, tendenzialmente naturalistica ma con diverse eccezioni dove dominano il verde o il blu. Se pur occasionalmente ritorna l’acidità di Utopia, prevalgono toni qui più pastosi, che sembrano attaccarsi alla pelle dei personaggi. È il caso per esempio di un dialogo tra l’accusato Paul e sua figlia Dee, dove anche il testo di Throne gioca con l’indecifrabile, perché la donna è disturbata e provoca il padre raccontando cose terribili che non sono probabilmente mai successe.

Una scena disturbante, benissimo servita dagli attori Robbie Coltrane e Andrea Riseborough, ma non mancano naturalmente pezzi di bravura per Julie Walters, nel ruolo della moglie dell’accusato Marie. Decisa a difendere il marito nonostante ne conosca tutte le debolezze, la sua iniziale certezza viene erosa dal dolore che legge nel volto delle donne che accusano Paul. Il marito le appare del resto troppo propenso ad ammettere in parte alcune colpe per assecondare la strategia dell’abile avvocato. Se la verità viene in parte rivelata solo alla fine, da un ultimo flashback, il finale rimane comunque aperto e il senso di dissoluzione pervade ogni cosa al di là dell’esito del processo. National Treasure scende nell’abisso più vischioso delle pulsioni umane, mostrando come la legge e i media affrontino la lordura fingendo di rimanere rispettabili: ma fin da subito, quando Paul va a consegnare un premio al collega Karl in una cerimonia di gala, è palpabile un senso di decadimento senza uscita.

 

Qui tutti gli articoli della rubrica CoseSerie.

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