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Venezia 2016: Giorno 6 - Arrivano Rocco Siffredi e Piuma
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#Venezia73 arriva al giro di boa. Il sesto giorno prevede la presentazione di altri due titoli in concorso: Piuma, il secondo degli italiani diretto da Roan Johnson, e A Woman’s Life di Stéphane Brizé. Ma a calamitare l’attenzione di tutti è la presentazione del documentario Rocco, che Thierry Demaizière e Alban Teurlai dedicano a Rocco Siffredi.

Diretto da Roan Johnson e sceneggiato dallo stesso con Ottavia MadedduCarlotta Massimi e Davide LantieriPiuma racconta la storia di Cate e Ferro, due giovani chiamati a confrontarsi con l'arrivo della loro prima figlia. Per Ferro e Cate saranno i nove mesi più burrascosi delle loro vite, anche se loro non hanno ancora capito la tempesta che sta arrivando: alla bambina ci penseranno quando nasce. E poi comunque devono preparare la maturità insieme e agli altri amici, il viaggio in Spagna e Marocco, vogliono pensare all'estate più lunga della loro vita, alla casa dove stare insieme, ai loro sogni di diciottenni.

E a non essere pronti non sono solo Ferro e Cate ma anche i loro genitori: quelli di Ferro, che prima li aiutano e poi vanno in crisi sfiorando il divorzio; quelli di Cate, più assenti e in difficoltà di lei. Tutti alle prese, loro malgrado, con un nipote e una responsabilità in arrivo con quindici anni di anticipo.

Con la direzione della fotografia di Davide Manca, le scenografie di Mauro Vanzati, i costumi diAndrea Cavalletto e le musiche di Lorenzo TomioPiuma viene così descritto dal regista: “È inutile girarci intorno: andare in concorso a Venezia è un sogno per chiunque faccia cinema.

Andarci con Piuma però, ha un sapore speciale.

Prima di tutto per una questione personale: con Ottavia Madeddu (la mia compagna), Davide Lantieri e Carlotta Massimi, abbiamo iniziato a scrivere questo film quattro anni fa: perché ce la facevamo addosso al pensiero di fare un figlio e volevamo provare ad esorcizzare questa paura. Adesso siamo tutti genitori, e Ottavia e Carlotta sono di nuovo incinte.

C'è la gioia di poter condividere l'emozione di andare al Lido con la troupe con cui ormai lavoro (chi più chi meno) da sei intensi anni e con cui abbiamo condiviso un'idea e una passione genuina di fare cinema, ma ancora di più di lavorare insieme. Ci incontriamo e ci confrontiamo prima per affinità e dopo per professionalità.

Soprattutto, sono contento per i nostri attori, che meritano questo riconoscimento non solo per il loro talento (quanto sono bravi lo vedrete nel film) ma anche perché, come direbbe Ferro, hanno "il cuore dalla parte giusta". Da Pierattini alla Cescon, dalla Turrini a Ciccio Colella, il confronto più sorprendente è stato con Luigi Fedele, Blu Yoshimi e Brando Pacitto: ragazzi che non fanno sessant'anni in tre, ma di una maturità e di una sensibilità che ci ha lasciati di stucco.

Devo ringraziare il produttore Carlo Degli Esposti, che ha creduto in me fin dall'inizio (da quando esordii con I primi della lista) e che poi, insieme a Sky [produttore esecutivo, ndr], mi ha lasciato la libertà di osare, di scegliere gli attori giusti, storie che sentissi mie, e raccontare dei personaggi con cui mi identificassi fino in fondo.

Non credo che ci siano generi o toni più nobili o migliori di altri. Amo il cinema a trecentosessanta gradi e spero di avere la fortuna di spaziare il più possibile come regista in futuro. Credo però che questa capacità di riuscire a ridere delle cose, di dissacrarle, di renderle meno enfatiche, sia forse la risorsa più importante che abbiamo in questo momento dove una certa idea di retorica e di integrità rischiano di creare mostri, mentre la meravigliosa libertà di prendere per il culo se stessi, la realtà, e anche i drammi rimanga il vaccino migliore.

E siccome fra le tante sfaccettature di questo film abbiamo pensato che l'arrivo di questa figlia nella vita di Ferro e Cate fosse anche la metafora di una responsabilità di un'epoca difficile e complessa che ci è arrivata nostro malgrado, e a cui non siamo pronti, ecco, allora credo che come Ferro e Cate anche noi ci salveremo se contro la retorica ci giocheremo la carta della leggerezza e dell'ironia, se al pessimismo di questo mondo sapremo rilanciare con l'ottimismo se non della volontà, almeno dell'incoscienza e del sogno”.

 

Stéphane Brizé, dopo il successo al Festival di Cannes 2015 con La legge del mercato, sceglie per A Woman’s Life di adattare il romanzo Una vita (1883) di Guy de Maupassant e di raccontare la storia di Jeanne, una giovane donna innocente che nella Normandia del 1819 è appena rientrata in famiglia quando accetta di sposare Julien de Lamare, il visconte del luogo. Ben presto, Julien si rivela un uomo gretto e infedele e, a poco a poco Jeanne vede svanire le sue illusioni. Sottolinea Brizé: “Jeanne le Perthuis des Vauds, che in seguito al matrimonio con Julien diventerà Jeanne de Lamare, entra nella cosiddetta vita “adulta” senza aver mai affrontato la perdita di quel paradiso che è l’infanzia, quel momento dell’esistenza umana in cui ogni cosa sembra perfetta. Quel momento in cui gli adulti sono coloro che sanno tutto, coloro che ci dicono di non mentire e, dunque, loro stessi non mentono mai – o così crediamo. In quel momento si vedono le cose senza uno sfondo. Poi, con il passare degli anni, questo ideale diventa più sfumato trasformandosi talvolta in disillusione. Per impedire tale processo è necessario acquisire strumenti protettivi. Si devono comprendere i meccanismi che governano i legami fra le persone e mantenere la giusta distanza in modo da evitare una delusione profonda quando si constata la brutalità dei rapporti umani. Jeanne non vuole, non può o non sa come far evolvere il suo concetto di vita. Questo la rende una persona speciale. È una creatura meravigliosa, rara, perché la sua mente è priva di secondi fini. Ciò detto, proprio l’aspetto che la rende tanto affascinante è al contempo la sua condanna”.

Judith Chemla, Swann Arlaud

A Woman's Life (2016): Judith Chemla, Swann Arlaud

 

A parlare di Rocco è invece direttamente Rocco Siffredi, re dell’hard, in una lunga intervista.

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INTERVISTA A ROCCO SIFFREDI

Rocco Siffredi

Rocco (2016): Rocco Siffredi

Qual è stata la sua reazione quando due documentaristi francesi le hanno proposto questo ritratto filmato?

È sempre fantastico sapere che qualcuno si interessa alla tua vita. Avevo già avuto tre proposte in passato. La prima da parte del figlio di un grande regista polacco, la seconda da parte di un italiano e la terza da parte di un americano. Thierry e Alban mi hanno mostrato i loro film precedenti e mi è molto piaciuto il loro modo di affrontare i loro soggetti e di filmarli. E questo è stato fondamentale nel persuadermi a lasciarmi finalmente riprendere sotto un profilo molto personale. E poi io sono nato artisticamente in Francia: il mio primo film porno è stato girato a Parigi nel 1986 per Dorcel. E quando in seguito ho deciso di pubblicare un libro autobiografico è stato su suggerimento di un editore francese. Probabilmente questo dipende dal fatto che la Francia è più emancipata in tema di sesso, è meno ipocrita. I francesi mi sembrano in una posizione migliore rispetto a tutti gli altri per raccontare la vita di un uomo che ha scelto un percorso che non è, per così dire, tradizionale...

Quando è nato il progetto, lei aveva appena compiuto 50 anni. Questo evento ha avuto un ruolo nella sua decisione di raccontare la sua storia?

Sì, assolutamente. Quanto arrivi a cinquant'anni, le scelte che hai fatto impongono una riflessione, ma sembrano anche più chiare. Sia le buone sia le cattive. Hai improvvisamente l'età giusta per soppesarle, per raccontarle.

C'era anche la voglia di rompere con l'immagine di Rocco l'attore porno?

La gente ha un'immagine di me come di una super-macchina. E posso essere quella super-macchina davanti alla videocamera. Ma qui, per la prima volta, mi si può vedere completamente a nudo. Per me è molto più difficile mettermi a nudo in questo modo che apparire senza vestiti sul set per girare una scena hard. Non è lo stesso modo di scoprirsi.

 

Questo mettersi a nudo non fa anche paura?

Sì, c'è un momento in cui hai paura. Che cos'è questa paura? Sinceramente, nel mio caso non è quella di chi teme di mostrarsi per quello che è, per come è. Sono cose che io ho accettato molto tempo fa. E non si tratta neanche di pudore. Il mio timore riguarda i miei cari: mia moglie e i miei due figli. Quando hai una famiglia, cerchi di mostrare il tuo lato forte, mostri che sei un lottatore, che non hai paura di nulla, che sei invincibile, che sei un super papà. Ma contemporaneamente so che i miei figli crescono (hanno 16 e 20 anni). Un giorno, che arriverà molto presto, diventeranno a loro volta padri di famiglia, e anche loro incontreranno dei problemi. Quindi mi sono detto che hanno già l'età giusta per sentire il loro padre dire determinate cose, per vederlo sotto una luce diversa. Nella vita, a volte mi capita che la mia decisione occupi non soltanto tutta la mia mente, ma anche il mio corpo. Tutto il mio corpo. Tutta la mia anima. Al punto che ho acconsentito a dire certe cose, su mia madre, sul mio passato, sui miei fantasmi.

Ne avete parlato tra di voi, in famiglia, di questo ritratto?

Sì. Mia moglie era forse la più reticente. Aveva più che altro paura che il film raccontasse una volta di più dei cliché sul cinema porno e lo raffigurasse come l'incarnazione del male. Mia moglie sa che faccio questo mestiere sempre con molta gioia, molta passione e molta professionalità. Mi ha visto felice del mio lavoro e temeva che ne emergesse solo il lato violento, bestiale, il lato oscuro del porno... Io condividevo questo suo timore. Anch'io avevo paura che Thierry e Alban cercassero di filmare solo il lato duro del porno. Ora penso che abbiano trovato un equilibrio. Le cose vengono dette e mostrate, ma si percepisce anche che all'interno dell'industria ci sono persone che cercano di farla avanzare e per le quali questo lavoro è prima di ogni altra cosa una passione.

Questo ritratto sarebbe quello di un supereroe della pornografia?

No, per l'appunto. È tutto fuorché questo! Ho lasciato che Alban e Thierry cercassero in ogni angolo. Sapevo che avevano una scarsa conoscenza del porno, che se n'erano fatti una certa idea. Ho corso dei rischi. Un film che mi avesse glorificato sarebbe stato orribile come pure al contrario un film che presentasse solo persone che mi vedono come l'incarnazione del male. Hanno esplorato tutte le facce del porno e hanno capito che io esercitavo questo mestiere con il massimo della professionalità possibile. E un'immensa dose di passione.

Cosa c'è di ancora difficile da dire a questo punto nella pornografia? Sembra essere ovunque, eppure nessuno è disposto a riconoscerlo...

È vero, resta il grande tabù di oggi. La violenza non è più un tabù: è ovunque, nel quotidiano della nostra vita, sui mezzi di informazione. È mostrata, esibita e a volte ci lascia addirittura indifferenti. Anche la nudità non è più un divieto: i corpi si mostrano con maggiore facilità. Resta un solo tabù, che forse è l'ultimo: la pornografia. La sessualità. E so per esperienza che uno dei problemi più grandi con cui si confronta la pornografia è che mostra il sesso maschile. Di recente, l'inserto M del quotidiano Le Monde mi ha dedicato un servizio da copertina. Ci sono state immediatamente delle reazioni molto violente. Una copertina di Le Monde con una donna nuda non avrebbe scatenato una simile reazione. Ma in quel caso si mostrava il sesso di un uomo, si toccava un'interdizione. Non si mostra il cazzo di un uomo in una rivista seria, è troppo vicino all'animalità che è dentro di noi. Il pene è una cosa da usare quando ce n'è bisogno, ma da mettere via una volta terminato l'uso. Non lo si deve raffigurare... Ecco in cosa consiste il tabù che avvolge la pornografia. Ecco perché è così disturbante. Tutti guardano immagini porno, è il segreto meglio condiviso di tutti e so anche, in quanto produttore, che i gusti sono sempre più orientati verso scene bizzarre ed estreme. La pornografia eccita tutti noi, ma nessuno è ancora disposto ad ammetterlo. Sono pochi e poche coloro che osano ammettere che è fantastica e bella, che è eccitante. Questo dice molte cose sulla nostra epoca.

 

Il film mostra che il suo stile di recitazione è sempre ambiguo: le sue scene hanno la fama di essere intense, a volte violente, e contemporaneamente sono cariche di una sorta di complicità con l'attrice che raramente si riscontra nell'industria del cinema porno...

Quando funziona, insieme si va verso qualcosa di intenso. A volte non ci sono più veramente dei limiti. So di essere in gran parte responsabile di una certa tendenza violenta nel porno, una moda apparsa da circa quindici o vent'anni. Potrei quasi datare lo slittamento verso questa violenza: è stata una scena durante la quale una ragazza mi ha dato una sberla in faccia. Istintivamente, gliel'ho restituita e nell'stante in cui l'ho fatto, lei ha subito goduto. A partire da quel momento, quando i segni me lo indicavano ovviamente, a volte ho cercato di entrare in quella zona in cui la violenza è un gioco ammesso, persino richiesto, ed è praticata contro uno o l'altro dei due partner. Ci ho provato con attrici come Sidonie e Kelly. Sono scene molto hard, senza limiti, in cui si gioca con il dolore e il piacere insieme. Lo ripeto, visto che ancora oggi è spesso incompreso: quelle scene sono sempre una forma di complicità con la donna, rispondono a una domanda dell'attrice in quel momento. Se non si capisce questo, non si capisce niente di quello che avviene tra lei e me in quell'istante. La vera sessualità è un'esplorazione. Consiste nel cercare dentro di noi delle cose, a volte molto violente, ma che ci fanno vibrare ancora di più. L'orgasmo perfetto, l'orgasmo supremo è una cosa complessa, che fa emergere emozioni molto intense in noi. Bisogna andare a cercarlo quest'orgasmo che ribalta tutto. È la sola cosa che conta.

Tuttavia, molti sono critici rispetto a questa posizione: ha aperto la porta verso una pornografia che cerca di denigrare la donna e che soprattutto non tiene in considerazione il suo piacere…

Troppe persone hanno cercato di imitarmi su questo terreno, senza mai capire nulla del mio approccio. Questo mi dispiace. Hanno recepito solo la violenza. La complicità è stata del tutto ignorata. Eppure, senza la complicità, quella violenza diventa insopportabile.

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Queste le recensioni dei film visionati ieri e il diario di Maghella:

 

The Distinguished Citizen - Recensione di Spaggy

The Untamed - Recensione di Spaggy

Monte - Recensione di EightAndHalf

Hacksaw Ridge - Recensione di Supadany

 

 

Diario di bordo di Venezia: Giorno 5 di Maghella

 

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