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L'ultima fuga

Regia di Richard Fleischer vedi scheda film

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La recensione su L'ultima fuga

di callme Snake
8 stelle

Un ex-criminale (George C. Scott) che ha perso un figlio ed è stato abbandonato dalla moglie decide di rientrare nel giro dopo 9 anni di inattività. Ha provato a vivere come tutti gli altri, magari facendo un lavoro umile (il pescatore), ma la sua inettitudine gli impedisce di stabilizzarsi, anche alla luce di quello che ha passato. Accetta dunque di trasportare un evaso verso il punto di ritrovo dove lo attendeno gli organizzatori della fuga. Sulla strada l'evaso, un giovane arrogante e senza scrupoli, uno che tratta le persone alla stregua di cose, passa a prendere la sua ragazza, che proseguirà il viaggio con loro. Ma all'incontro l'accoglienza non è quella che ci si potrebbe aspettare: l'autista decide allora di rimanere fedele alla coppia e di aiutarli a salvare la pelle...Noir classico che più classico non si può, eppure allo stesso tempo impregnato della violenza e della malinconia tipica di un certo cinema degli anni '70 (Getaway, Voglio La Testa di Garcia, Driver L'Imprendibile, L'Eroe della Strada, Il Lungo Addio, Gang, Mean Streets, Taxi Driver, Chinatown e molti altri), del senso di solitudine che permea i film di Peckinpah o Huston (che doveva dirigere The Last Run, e che abbandonò per problemi con Scott), della consapevolezza dell'inesorabilità del tempo (il protagonista riferendosi all'orologio dice: "è questo il nostro vero nemico"). Un plot canonico, con sviluppi canonici (per quanto amari e dolorosi) ed una regia che non si concede virtuosismi o tocchi autoriali: ed è qui la grandezza di Fleischer, nel ricreare un cinema che sembrava morto e che con lui resuscita in tutta la sua intensità e trasparenza. Una storia appassionante e triste resa magistralmente, senza il bisogno di mostrare tutto o stravolgere gli sti(lem)i assodati. Una fotografia che è lo specchio dell'umore del film (di quel gigante che è Sven Nykvist), dei volti così lontani dalla triste ed anodina perfezione a cui ci siamo (hanno) abituati con continue lobotomie catodiche. Un senso del ritmo e dell'azione, chiara e solidissima, che fu (è) di Walter Hill, John Carpenter, Roger Corman. Tutte qualità che non è il caso di dare per scontate e che non è facile ottenere, sebbene in passato fosse prassi diffusa (ma non sempre a questi livelli): la prova ancora una volta è il panorama desolante di produzioni cui siamo assuefatti, senza nemmeno renderci conto che non valgono una sola sequenza di film come The Last Run. A registi come Fleischer per commuovere le platee senza dar loro la sensazione di esser stati ricattati bastava un tocco di montaggio connotativo in un découpage al 95% classico: un corpo che muore, una chiave che si gira spegnendo per sempre un'auto tutta ammaccata che un tempo qualcuno amava fino a considerarla viva.

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