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Il seduttore

Regia di Franco Rossi vedi scheda film

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La recensione su Il seduttore

di lamettrie
7 stelle

Una simpatica commedia sull’infedeltà coniugale. Non ce ne si può aspettare granché, se non il gusto degli intrecci, dovuti agli intrighi amorosi di Sordi, che poi finisce irretito nelle sue stesse trame, che non ha saputo reggere e sono diventate più grandi di lui. Il messaggio migliore del film è proprio la critica all’eterno seduttore, al latin lover, all’inguaribile infedele: una parte insomma con cui ogni uomo (ma, a parti invertite, anche ogni donna che aspiri a un’influenza e un potere irresistibile sugli uomini) porta dentro di sé. Lo porta in sé quanto meno nel proprio immaginario, nel proprio bisogno di reagire a una realtà sentimentale spesso frustrante, che sia di solitudine o di coppia. In questo caso, Sordi è vittima, grottesca, delle sue stesse voglie incontrollate. Senza il limite che il soggetto deve darsi, per dare un senso buono alla realtà che vive, il destino che gli incombe è quello di farsi del male da solo: infatti trova che si approfitta della sua libido. Chi se ne approfitta si fa meno scrupoli, e inganna ancor di più in quel gioco di falsità, magari solo perché a sua volta ha problemi umani ancor più grossi e non crede di avere alternative (il più sofferente che almeno, come vantaggio secondario, ha la soddisfazione di prevalere su qualcun altro, che magari è meno sofferente di lui). Meno male per Sordi che, nel convulso finale, la moglie si scopre una ingenua fedele che lo perdona, anche se potrebbe, e forse dovrebbe, benissimo non farlo. Conclusione bonaria da prima commedia all’italiana, che fra l’altro è il peggio del film: con quel po’ po’ di confusione che il protagonista aveva combinato con la moglie e le due amanti (amanti solo sulla carta: con loro è andato sempre in bianco), nel fortuito incontro fra tutti al ristorante, la sceneggiatura poteva fare molto di più, una volta che effettivamente era stata creata un’occasione così pirotecnica. Sordi recita, come sempre alla perfezione, una delle sue prime parti in assoluto da protagonista. Mette in scena il contrasto di tanti maschi italiani: bisognosi dell’approdo sicuro, della dolcezza assicurata (?) di una moglie, che garantisce contro i terrori della solitudine, da una parte; dall’altra bisognoso con uguale intensità di evadere dai soliti confini, angusti, opprimenti, tanto da desiderare sempre un’avventura nuova, come si ha bisogno dell’aria per non sentirsi soffocare. Le ultime scene lo mostrano cambiato. Sembra fedele perche non può perdere la moglie, che effettivamente ama, e da cui è amato. Ma il merito del film sta proprio in questo: mostrare la tipica schizofrenia, italiana e non solo, che si cela nel verbo “amare”, così abusato e non compreso anche dalle nostre parti (con buona responsabilità di una tradizione religiosa, in questo equivoco grave sul significato di tale verbo). Amare permetterebbe tutto: tanto essere fedeli, quanto esser infedeli. Matrimonio e tradimento sono entrambi giustificati come forme di amore, e dunque ambedue mai condannabili, in via di principio. Questa commediola quindi va a toccare aspetti fondamentali dell’esperienza umana, ben lontana però sia da approfondimenti significativi sia da vette estetiche, sia chiaro. Sordi mette in scena tutto l’armamentario tipico del seduttore: la consapevole menzogna coltivata; la spinta realistica del desiderio; le mosse studiate e opportunamente dosate, in un crescente progresso finalizzato alla conquista dell’oggetto desiderato; la strategia sulla lunga distanza che serve per vincere la guerra, o, che è lo stesso, per far propria la preda; la sublimazione provvisoria del desiderio, e la capacità di rimandare temporaneamente la propria soddisfazione… Sono queste doti tipiche di un attore, che il gigante romano incarna alla perfezione. Il merito del film sta proprio nel sottolineare i limiti e le contraddizioni di questo modello seduttivo, che non regge di fronte alla necessità di vivere in modo autentico. Questa vita autentica richiede anche di ascoltare la propria coscienza; ovvero di non poter mettere più a tacere, a un certo punto, i tormenti per le proprie colpe nei riguardi di altri, tormenti che inizialmente si erano giustificati in nome del perseguimento esclusivo del proprio desiderio.

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