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Il viaggio

Regia di Nick Hamm vedi scheda film

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La recensione su Il viaggio

di supadany
6 stelle

Venezia 73 – Fuori concorso

Le decisioni più importanti vengono prese seduti a un tavolo ufficiale, ma creare un clima più rilassato altrove può fare tutta la differenza del mondo, soprattutto quando la tensione tra le parti si taglia con un coltello da quasi mezzo secolo.

E’ quanto accade nel film diretto da Nick Hamm (Martha da legare) che racconta la genesi dello storico accordo siglato da Ian Paisley e Martin McGuinness che nel 2007 scriverà la parola fine sul sanguinoso conflitto nei territori dell’Irlanda del Nord.

Nel 2006, per l’ennesima volta è istituito un tavolo ufficiale, sul cui buon esito non crede praticamente nessuno, per cercare di risolvere le profonde divergenze tra l’inflessibile predicatore protestante Ian Paisley (Timothy Spall) e il repubblicano indipendentista Martin McGuinness (Colm Meany).

Visto che tra i due regna il gelo, dall’esterno c’è chi cercherà di ricreare l’occasione migliore per costringerli a comunicare tra loro; un viaggio in automobile di Paisley sembra essere l’ultima opportunità per smuovere le acque.

 

 

Trattasi di una tappa storica per l’Irlanda del Nord che Nick Hamm romanza nel solco della miglior commedia britannica, sfruttando due personaggi di carisma ed ego, bloccati forzatamente in un’unica unità di luogo, una vettura immersa in un viaggio, dove i contrattempi vengono forzarti dall’alto per dare il tempo necessario alla concretizzazione di un’apertura ritenuta quasi impossibile.

Vedendo il procedimento, non è difficile notare delle forzature, ovviamente concentrate verso la conclusione per condurre al noto risultato finale, ma la sceneggiatura scandisce tempi brillanti che ne sminuiscono l’impatto e il resto è pane per i denti di due attori dal sicuro affidamento, che nei loro sostenuti duetti sembrano aver recitato da sempre insieme.

Colm Meany è rilassato e mostra a chiare lettere la determinazione del suo personaggio di infrangere un muro che sembra inscalfibile, mentre Timothy Spall aderisce al personaggio nel look così come in mossette, con un tipico sorriso trattenuto che è comico di suo, e già solo con un’occhiata, o una posa particolare, anticipa quello che sarà poi il senso della battuta a seguire.

Soprattutto grazie a loro, ma anche John Hurt ricava un piccolo delizioso spazio, si racconta una pagina di storia moderna gestendo lo spettacolo in estrema sicurezza, facendo prevalere tonalità serene, senza comunque tralasciare inevitabili intoppi dovuti a divergenze culturali di lunga sedimentazione.

Uno spettacolo sicuramente accomodante, ma funzionale a trasmettere l’arte del dialogo tra posizioni distanti e quindi successivamente del compromesso (che di questi tempi non fa certo male), che intrattiene grazie a uno script che procede a colpi di fioretto, affidati a due moschettieri d’eccezione.

Rassicurante.

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