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Lea

Regia di Marco Tullio Giordana vedi scheda film

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La recensione su Lea

di lamettrie
9 stelle

Un capolavoro: intensissimo, purtroppo realisticissimo, angosciatissimo. In un’ora e 37’ è talmente denso da lasciare la percezione di aver visto molto di più, senza annoiare affatto.  

Restituisce in modo perfetto l’inquietudine insopportabile che deriva dal vivere nella criminalità: troppe sono le implicazioni, a tutti i livelli, che rendono la vita invivibile. Per cui non resta che un po’ di potere, di arroganza e di consumismo per reggerla, una volta che è divenuta detestabile, se si può.

Di stupefacente felicità artistica il groviglio che si crea attorno alla figlia. Messa al mondo in modo alquanto irresponsabile, e le conseguenze di ciò si vedono. Ma, una volta al mondo, tale figlia è un nodo fondamentale: per la madre è quasi l’unica ragione di vita, di una vita altrimenti rovinata per colpa di rapporti tribali criminali; per il padre è l’unico senso di una vita prospera economicamente, ma oscena moralmente ed emotivamente. Ma, soprattutto riguardo sé stessa, tale figlia è al centro: la vera protagonista del film, suo malgrado. Tutto nella vita l’ha costretta ad odiare la vita: odiare suo padre, la società d’origine, la sua parentela (tranne madre e nonna). È impressionante come lei vada avanti a sperare di vivere bene, nonostante l’orrore di cui è vittima: e lo può fare proprio perché mossa dall’esempio luminoso della madre, donna semplicissima, piena di difetti, che però è un autentico eroe per il fatto che ha rischiato tutto di sé stessa, pur di non essere complice di atrocità. E ha pagato. La vita non poteva più essere “normale” per lei: non poteva più darle le possibilità di vivere nella gioia, in mezzo invece all’anonimato, alla paura, al terrore, per sé e per la figlia.

L’unicità e lo straordinario valore dell’esempio morale, portato avanti nella vita di tutti i giorni, pagando di tasca propria le conseguenze negative del proprio agire lodevole in una società evidentemente molto più malate che encomiabile, sono affrescati alla perfezione da Giordana. Che ha anche il merito di restituire fedelmente la vita quotidiana, calabrese e non solo: notevole, in tal senso, l’interpretazione dell’anziana milanese della casa di corte, nel contesto popolareggiante, con quel grumo continuo di emozioni vere e profonde così palpitanti.  

Lo stato fa la brutta figura che anche lì ha meritato. Lea può urlare, davanti ad autorità pubbliche, a buon diritto di essere stata abbondonata dallo stato, che le ha tolto il programma di protezione; evidentemente non per incuria, ma molto probabilmente per il disegno, criminale, di mandare il messaggio: chi si oppone al crimine viene punito; però lo stato mantiene l’impegno in favore di chi davvero aiuta lo stato, in modo più che altro propagandistico, affinché il cittadino distratto e facilmente ingannabile (quindi oltre l’80%) non possa dire che lo stato non ha fatto nulla per esso. Inoltre il maggiore danno, per Lea, è derivato da ciò: che tra i carabinieri c‘era una talpa, un informatore della ‘ndrangheta in uniforme e pagato dallo stato e dalla collettività tutta, che così è stata terribilmente danneggiata. Con il contorno, immaginabile, di tutti i referenti politici, senza cui, come è noto, è impensabile lo strapotere dei criminali che realmente da secoli si registra nella società dell’Italia del sud.

Tensione gestita benissimo. Documentazione storica inappuntabile. L’associazione Libera merita il plauso, perché mostra come solo l’impegno diretto può scalfire l’abitudinarietà del potere criminale, e ridurlo. In attesa che gli elettori da ciò imparino (almeno la maggioranza), impedendo ai dipendenti della criminalità organizzata (che il film fa vedere quanto è seriamente organizzata!) di avere voce in capitolo in politica, dove davvero si decidono le cose. Perché, se non si arriva al livello politico, i cancri sociali continueranno a prevalere: per l’interesse di pochi abbienti, di solito, e con il dolore evitabilissimo dei tantissimi onesti.    

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