Regia di Song Peng Fei vedi scheda film
Le solitudini che si incrociano rischiano di diventare, qualche volta, pretesto. Non sempre potenti, non sempre necessarie, non sempre capaci di provocare empatia nello spettatore, considerando che, pur attingendo all'infinita variabilità dei casi umani, diventano spesso strumenti che dissimulino ingenuità, insicurezza, incapacità di rischiare. L'opera prima di Pengfei non è certo un film pessimo, ma il tedio che riesce a procurare pur solo in 75 minuti è un colpo secco, imprevisto. E la piattezza è procurata sicuramente da una creatività registica limitata che viene quasi sopraffatta dalla fotografia, fortemente cromatica, e dunque da una staticità che si rivela solito mezzo, usuale strumento di racconto. Nonostante alcune sequenze siano potenti, Pengfei ardisce prospettive risapute con l'evidente entusiasmo acerbo di un apprendista, e finisce per procurare emozioni castrate dall'inevitabile assenza di originalità.
Si diceva, solitudini che si incontrano, quelle di una spogliarellista, di un giovane squattrinato e di un uomo che rischia di essere sfrattato da casa con la sua famiglia. L'indigenza, tema centrale di tutto il film a fianco dell'incomunicabilità metropolitana, diventa fonte gratuita di pietismo, da sommare da una musica ad hoc che distrugge quelle poche briciole di compostezza e di rigore fornite dalla regia di Pengfei. Un film amorfo, forse incompleto, che vive di momenti troppo sporadici di liricità, come quando la casa sottoterra della ragazza e del giovane, che si innamorano vicendevolmente, viene allagata e la cinepresa improvvisamente comincia a muoversi anche lei. Ma Pengfei nega la catarsi, e lascia nella scontata sconsolatezza tutti quanti.
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