Regia di Billy Wilder vedi scheda film
Nell'anno di Eva contro Eva e Giungla d'asfalto, la meta-riflessione sulla messa in scena non teatrale ma cinematografica, e le atmosfere e l'etica tragica del noir trovano la loro sublime sintesi nella prova d'autore di Billy Wilder. Lo sceneggiatore galleggiante, demone e divinità che costruisce visioni, ci parla dall'oltretomba per guidarci nei dedali della sua/nostra anima, ci parla di mondi perduti in un altrove troppo diverso/uguale al contingente, ci parla di dive che vorrebbero sfuggire alla precarietà, ci parla della vita che scorre come una pellicola fino all'ultimo ciak quando la morte ci riserva il nostro ultimo primo piano.
Uno sfortunato sceneggiatore di Hollywood trova rifugio nella casa e nel mondo in declinio dell'ex diva del muto Norma Desmon, che si innamora di lui, giovane, bello, simbolo di un qualcosa che ha perduto e che vorrebbe far suo per sempre. Mentre lui prepara il suo ultimo e più bel lavoro di scrittura con la ragazza di cui si sta innamorando, la vecchia protettrice propone una sua mastodontica storia a C.B. De Mille per farne un film e viene a sapere che il suo giovane "amante" la tradisce e non può non fermarlo quando decide di andarsene.
Tutti i capolavori della vecchia Hollywood lasciano incantati per la perizia con cui venivano realizzate le componenti "secondarie" di una pellicola, che danno un contributo forse mai pienamente analizzato e elogiato.
NIENTE, nemmeno l'ombra della mdp che si vede sulle spalle di William Holden quando si avvicina a Norma sul letto.
Ogni singolo gesto, sguardo, movimento denotano la profonda sintonia che c'è tra attrice e personaggio:il ruolo di una vita regalata al cinema che non c'è più, o meglio è diventato troppo piccolo per contenere la vera grandezza.
Si mostra sempre efficace e superlativo nell'interpretare un uomo più disilluso e svuotato che mai. Le illusioni e i sogni sembrano essergli scivolati addosso lasciando solo amarezza e disincanto. Come poi accadrà al protagonista di "American Beauty", la morte sopraggiunge quando finalmente si trova la forza di rivendicare la propria autonomia e identità: un vero anti-eroe noir.
Semplicemente favoloso nell'incarnare un sognatore-costruttore-di-sogni, ostinato nel perseguire il suo stile di vita, senza ripensamenti o tentennamenti:la sua è invece tragicità a tutto tondo.
La sintassi compositiva è, come sempre, geniale. Ma in questo caso si toccano vette inusitate proprio in virtù del narratore che parla allo spettatore da morto: una "semplice" invenzione drammaturgica diviene strumento per costruire una metafora sulla narrazione per immagini, che si basa sul disfacimento/morte delle stesse nel loro farsi. Ogni fotogramma passa solo una volta per morire in poche frazioni di secondo, eppure ritorna ogni volta che "rivediamo" una pellicola. Il mondo della Desmon, poi, è rappresentato dal regista con la vena sardonica, irriverente e amaramente ironica che in tutti i film lo ha caratterizzato: il gioco dei ruoli che l'uomo si ostina o deve interpretare anche contro voglia, la preponderante importanza data all'apparire, le assurdità insite in molte convinzioni della mente umana, le beffe che la vita ci riserva sono ancora al centro di una riflessione che presto conoscerà le strade del genere della commedia.
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