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Sunrise

Regia di Partho Sen-Gupta vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Sunrise

di alan smithee
9 stelle

Noir malsano ed inquietante che gioca magistralmente con le ombre: quelle vere e quelle figurate nascoste nell'animo; a rincorrerle invano come unico appiglio, intangibile ma presente, di una verità sconcertante ed inaccettabile che ha alla base lo sfruttamento dei minori in una società indiana di oggi dove la vita umana conta davvero ancora nulla

Piove a Mumbay: un fiume d’acqua che cade incessantemente dal cielo scuro e infradicia cose e persone lungo notti senza fine, scandagliate da luci al neon che deformano i colori e rendono tutto seppiato e condizionato verso una tonalità marroncina che rende vivo e palpabile un senso di allarme e di disagio.

Presso un commissariato di un quartiere povero che si sviluppa lungo un groviglio di strade intricate delineate e circoscritte da baracche fatiscenti, un ispettore dei servizi sociali trascorre tra la fissità atona della banale quotidianità del turno serale, attimi ideali per portare la mente verso le tragedie ed i dispiaceri personali che tormentano la sua vita familiare: la sua figlia bambina infatti, è da qualche anno scomparsa improvvisamente da scuola mentre usciva con le compagne: prelevata misteriosamente da qualcuno che, come accade in modo sconcertante in India, preleva minorenni per poi rivenderli ad un mercato clandestino dello sfruttamento.

Una storia devastante ed inaccettabile che non dà pace all’uomo né lo fa rassegnare di poter ritrovare l’amata bambina: una tragedia che ha minato la sua vita e fatto come impazzire la sua giovane consorte, regredita ad uno stato infantile forse per rinnegare una realtà inaccettabile.

Quando una notte, grazie ad un ragazzino spaventato, appostato perennemente davanti al commissariato in atteggiamento pronto a rivelare qualcosa, salvo poi nascondersi in un mutismo indecifrabile, l’uomo intuisce la presenza di qualche losco traffico “umano” nelle vicinanze del suo luogo di lavoro, inizia un’indagine che impegna l’uomo in una ricerca con la quale egli si illude di riuscire a salvare le vite di molti innocenti e di ritrovare finalmente la sua adorata figlioletta scomparsa.

Ecco dunque che, tra giochi d’ombre all’interno dei contorti vicoli del quartiere, che precedono fuggitivi misteriosi (scene meravigliosamente orchestrate, inseguimenti che attanagliano e mettono i brividi ricordando certi chiaroscuri da cinema degli albori o anche una versione seppiata di chiaroscuri alla Bela Tarr), si dipana un inseguimento senza sosta, come senza tregua è la pioggia che flagella quel limbo sospeso e asfissiante, tortuoso e labirintico come un intestino intricato senza via d’uscita, tra l’uomo e gli ipotetici colpevoli. Salvo arrivare ad un locale dalla scritta rossa, il Sunrise, entro il quale è forse racchiusa la risposta a tutto il mistero: … o così ci sarebbe piaciuto che potesse essere.

Realtà cruda ed inaccettabile e sogno paradisiaco si alternano nella mente sconvolta del nostro pietrificato protagonista, coinvolto in una corsa contro il tempo nei meandri oscuri di un sottosuolo che appare come il viatico per la discesa verso gli inferi.

La realtà poi riporta tutto in zona dolore, e quello che resta è solo il ricordo dei bei momenti trascorsi in serenità lungo una spiaggia sabbiosa da sogno.

Sunrise segna l’esordio al fulmicotone nel lungometraggio a soggetto da parte dell’indiano cinquantenne Partho Sen-Gupta, ed è l’ennesima riprova che l’India non significa, cinematograficamente, solo Bollywood, magniloquenza, colore e sentimenti dolciastri.

Qui ci troviamo di fronte al nero marcio e corrotto di una società che sta franando in un vortice di depravazione senza fine, dove alla disperazione si aggiunge l’orrore e la brutalità verso i più deboli ed indifesi.

Scenografie studiatissime e di grande effetto, giochi d’ombre magistrali che rendono il film un noir affascinante che ricorda certi riusciti adattamenti americani anni ’40; un protagonista sconvolto e perennemente atono la cui fissità traduce perfettamente l’angoscia e l’orrore di chi sa che ormai non c’è più nulla da salvare: l’innocenza è sopraffatta dal bieco sfruttamento e dalla libido di una società allo sbando, pronta solo a godere a spese altrui.

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